Commenti

Ecco perché le Borse danno troppo peso alle banche centrali

  • Abbonati
  • Accedi
politica 2.0

Ecco perché le Borse danno troppo peso alle banche centrali

CAMBRIDGE – Come mai di questi tempi i commenti dei banchieri centrali delle economie più importanti riscuotono enorme attenzione? Dopotutto, non è che cambino i tassi di interesse di continuo o abbiano messo a punto modelli innovativi e più fondati per analizzare l'economia. Al contrario, le previsioni di crescita e di inflazione delle più importanti banche centrali negli anni intercorsi dalla crisi finanziaria hanno regolarmente sovrastimato sia la crescita sia l'inflazione. E di molto.

Esistono numerose buone ragioni per spiegare l'attenzione profusa nei confronti di chi prende decisioni in tema di politiche monetarie, e tra esse potrei ricordare una maggiore indipendenza delle banche centrali, il fatto che l'opinione pubblica ha compreso la necessità di nominare tecnocrati molto competenti per sovrintendere alla massa monetaria, e il maggiore spessore dei mercati finanziari. Molti banchieri centrali, inoltre, sono stati meritatamente elogiati per il ruolo avuto nello scongiurare un tracollo globale durante la crisi finanziaria.

Tuttavia, tenuto conto delle numerose indecisioni relative alle previsioni macroeconomiche e degli effetti degli strumenti politici (non ultimo il quantitative easing, l'alleggerimento quantitativo), molti studiosi restano perplessi allorché i discorsi e le dichiarazioni dei banchieri centrali generano così tanto clamore. Malgrado tutti i loro gesti eroici durante la crisi finanziaria, in seguito molti banchieri centrali sono stati fin troppo inflessibili, si sono preoccupati in maniera sproporzionata di sforare gli obbiettivi di inflazione, e hanno fatto troppo poco al riguardo delle dinamiche deflazionistiche. Oltretutto, i banchieri centrali almeno in parte sono colpevoli loro stessi per la crisi, soprattutto a causa di politiche normative lassiste.

Molti banchieri centrali addossano la piena responsabilità dell'accaduto all'ex presidente della Federal Reserve degli Stati Uniti, Alan Greenspan (rimasto in carica dall'agosto 1987 al gennaio 2006), ritenendolo il colpevole principale e accusandolo di aver proiettato un'immagine dell'onnipotenza della banca centrale americana che di fatto non era tale, né in teoria né in pratica. Questa critica in realtà è gonfiata: Greenspan se ne è andato da molto tempo, mentre l'attenzione nei confronti delle dichiarazioni delle banche centrali è più grande che mai.

Che cosa sta accadendo di preciso? Io sono del parere che, oltre a tutti i fattori che ho descritto finora, si dovrebbe tener conto di altre tre considerazioni. Prima di tutto, la percezione dell'onniscienza dei banchieri centrali da parte dell'opinione pubblica li rende un valido capro espiatorio per i politici. Successivamente, la rivoluzione digitale nei media ha portato in primo piano il ruolo delle notizie di economia e finanza, uno dei pochi argomenti redditizi per la stampa e il giornalismo radiofonico in molti paesi. Le dichiarazioni dei banchieri centrali interessano gli uomini d'affari – specialmente coloro che operano nel settore finanziario – e gli uomini d'affari sono al centro dell'interesse dei pubblicitari.

Infine, aspetto tenuto forse meno da conto, c'è il fatto che le dichiarazioni delle banche centrali sono pressoché uniche per le conseguenze chiare e prevedibili che hanno sui mercati finanziari, quanto meno nel brevissimo periodo (in qualche caso anche un giorno solo o meno). Se i funzionari della Fed colgono di sorpresa i mercati facendo dichiarazioni “da veri falchi” (accennando, per esempio, a una sovrastima della politica dei tassi di interesse), andando oltre alle aspettative degli investitori, di solito innescano un apprezzamento del dollaro; i tassi di interesse a lungo termine salgono, e in genere si verifica un calo nel mercato azionario.

È vero: questi effetti possono essere di secondaria importanza e transitori. Nondimeno, a differenza della maggior parte della mole di informazioni macroeconomiche dalle quali siamo bombardati tutti i giorni, i discorsi e le opinioni dei banchieri centrali hanno conseguenze relativamente prevedibili, soprattutto quando a farle è il direttore, il presidente o il governatore, o quando altri funzionari parlano d'intesa tra loro. E, con milioni di miliardi di dollari che girano vorticando attorno ai mercati finanziari globali, questa prevedibilità determina un target bello grosso, al punto che gli investitori sono disposti a scommettere in modo cospicuo quando sono sicuri di avere ragione, e malgrado il loro utile per ogni dollaro sia esiguo.

Se pensate che io stia esagerando, prendete in considerazione la copertura di altre notizie di economia, per esempio la disoccupazione, il Pil o la bilancia commerciale. In pratica, ogni notizia finisce con lo spostare immediatamente l'attenzione del pubblico su ciò che i dati significano in termini di politica monetaria.

Alcuni indicatori economici – per esempio i dati sulla disoccupazione o l'inflazione – sono in verità di importanza immediata per le banche centrali, perché possono influire direttamente sui loro mandati e quindi hanno effetti alquanto prevedibili. Gran parte dell'odierna informazione, in ogni caso, è semplicemente clamore e questo rende valide in modo pressoché esclusivo le opinioni politiche attendibili che arrivano direttamente e da fonte sicura.

In sintesi, esistono molte buone ragioni per le quali i banchieri centrali ricevono una così grande attenzione mediatica, e tra esse vi sono la loro relativa indipendenza e la loro performance, generalmente solida. Esistono tuttavia anche altre ragioni, che hanno a che vedere con la necessità dei dirigenti politici di trovare capri espiatori, con la battaglia che i media ingaggiano per reinventarsi nell'epoca di internet, e con i prevedibili effetti a breve termine sui mercati finanziari delle dichiarazioni delle banche centrali. Tutti questi fattori si sono per così dire amalgamati, dando vita a una bolla intorno alle dichiarazioni e alle decisioni delle banche centrali che ne esagerano in maniera esorbitante il significato economico.

Si tratta di una bolla della quale i banchieri centrali dovrebbero preoccuparsi? Ovvio, la risposta è sì. La bolla creata dall'informazione è particolarmente preoccupante, in quanto rafforza l'idea che i banchieri centrali in qualche modo si preoccupino in maniera sproporzionata dei mercati finanziari, il che in genere non accade. La maggior parte delle banche centrali in realtà si occupa principalmente di crescita, inflazione e stabilità finanziaria, e non necessariamente in quest'ordine. La bolla politica è un prodotto inevitabile dell'indipendenza delle banche centrali, e impedire che la politica monetaria diventi un target dei funzionari pubblici eletti esige uno sforzo costante. La bolla legata alla prevedibilità è forse la più difficile da affrontare, anche se il mio sesto senso mi suggerisce che si otterrebbe di più dandole meno importanza. Un'importanza esagerata costituisce un tipo di bolla che le banche centrali, a mio parere, dovrebbero essere sempre pronte a far esplodere.
Traduzione di Anna Bissanti

© Riproduzione riservata