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Svizzera, cambio di regime riuscito ma la direzione è quella sbagliata

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LA MOSSA A SORPRESA SUL FRANCO

Svizzera, cambio di regime riuscito ma la direzione è quella sbagliata

Di questi tempi è opinione comune che per le banche centrali sia molto difficile guadagnare credibilità con tassi inferiori a zero, a meno che non riescano a convincere gli investitori che c'è stato un cambio di regime, in altre parole, cambiare le aspettative sulla policy futura è più importante di quello che si fa nel momento presente. È quello che cercavo di dire nel 1998, quando scrissi che la Banca del Giappone doveva “promettere in modo credibile di essere irresponsabile”, cosa che è riuscita a fare solo di recente.

Il guaio è che cambiare regime non è così facile. Il presidente Roosevelt lo fece facendo uscire l'America dal Gold Standard, ma sono cose che non capitano tutti i giorni.
La settimana scorsa, tuttavia, la Banca nazionale svizzera è riuscita a operare un cambio di regime credibile. Peccato che il cambiamento vada nella direzione sbagliata. Mollando il cambio fisso con l'euro, la banca ha fatto capire subito ai mercati che il suo precedente impegno a fare tutto il possibile per evitare la deflazione, non era credibile. E questo effetto sulle aspettative ha fatto partire la misura concreta e immediata di tassi di interesse drasticamente negativi sulle riserve.
Ci sono due cose da considerare, primo: che la Banca nazionale svizzera si è giocata la credibilità – nel mondo di oggi la credibilità fondamentale di cui hanno bisogno le banche centrali non vuol dire far sparire gli alcolici dalla festa, ma continuare ad offrirli agli astemi – ed è difficile prevedere come potrà recuperarla. Secondo: ci saranno delle ripercussioni, questo passo indietro della banca elvetica andrà a complicare la policy monetaria negli altri Paesi, lasciando i mercati scettici sulla validità di altri impegni presi nei confronti di politiche non convenzionali che col tempo potrebbe venire meno.

A proposito di «economeroi»
Ho saputo che alcuni lettori non hanno capito cosa intendessi dire in un post recente (lo trovate qui: nyti.ms/1BTjPKn), quando ho dichiarato che l'economista Joe Stiglitz e il vostro affezionato sottoscritto, sono gli “economeroi” della sinistra, mentre quelli come Stephen Moore e Arthur Laffer sono gli “economeroi” della destra.
Tanto per cominciare non volevo certo definirmi un eroe, non lo sono affatto. Vi ho mai detto che sono più basso che alto? In realtà, la venerazione per un eroe di qualsiasi genere, chiunque sia, è un grosso sbaglio, si ripone troppa fiducia in un individuo, ed è molto probabile rimanerne delusi, e parecchio. (Badate, ci sono certi farabutti in giro…). No, quello che volevo dire – e che pensavo fosse ovvio – è che io e Stiglitz veniamo spesso citati o tirati in ballo dalla stampa liberale e dai liberali in generale, di solito con (eccessivo) plauso. E il fatto è che se ci sono figure che svolgono un ruolo altrettanto meritevole nei dibattiti della destra, queste non vengono citate così spesso e non sono nemmeno economisti competenti.
Quindi non venitemi a dire che Greg Mankiw o Robert Barro sono economisti famosi e che sono conservatori. Certo che lo sono. Ma quanto sono presenti sulla scena dei conservatori? Prendete un metro di paragone terra terra come i risultati su Google News. Se scrivete “economia di Mankiw” avrete circa 5200 risultati, molti dei quali relativi a interventi a recenti convegni di economia. Se scrivete “economia di Stephen Moore” ne avrete 65.700, se scrivete “economia di Stiglitz” 43.800.
Una vera e propria asimmetria. Potete dire, se volete, che tra le professioni dell'economia, i conservatori sono intellettualmente alla pari, se non superiori, ai liberali (e no, i professori di economia non sono tutti indistintamente liberali come invece i professori di altre scienze sociali). Il punto, però, è che la destra non si rivolge a quegli eminenti economisti conservatori per cercare una guida o un sostegno. Preferisce i pennivendoli.
(Traduzione di Francesca Novajra)

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