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Qual è il vero prezzo del successo nell'high tech?

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Global view

Qual è il vero prezzo del successo nell'high tech?

Recentemente ho letto un paio di articoli su quello che potremmo chiamare «il picco di Google»: tutti e due i pezzi – uno pubblicato sul New York Times a firma Farhad Manjoo (lo trovate qui: nyti.ms/1FzlOGl) e un altro sul Financial Times (lo trovate qui: on.ft.com/1AfC6Wa) – sostengono, in sostanza, che il successo passato di Google sta trasformando il colosso di Mountain View in un dinosauro.

Manjoo scrive: «Vecchi protagonisti come la Digital Equipment e Wang non sono spariti dal giorno alla notte. Sono sprofondati lentamente, sotto il peso della manutenzione dei prodotti con cui si erano arricchiti, senza riuscire a tenere il ritmo del cambiamento tecnologico intorno a loro. Lo stesso sta succedendo adesso alla Hewlett-Packard, che si sta spaccando in due. Perfino la Microsoft, il monopolista dichiarato, un tempo invincibile, del software per Pc, fatica a conservare centralità nel passaggio dai computer da tavolo ai dispositivi mobili, anche se continua a sfornare utili per miliardi di dollari.

«Ora Google deve fare i conti con lo stesso interrogativo sul suo ruolo fra i portabandiera dell'high-tech». È un'immagine diffusa e plausibile: in sostanza, il successo ti spinge a fissarti sui metodi che ti hanno portato in alto e ti rende incapace di adattarti quando cambia il contesto esterno.

Però mi viene da chiedermi: non è che stiamo semplicemente inventandoci storie per spiegare eventi che sono essenzialmente casuali?

Guardiamo l'analogia con la crescita nazionale. Qualche mese fa, Lant Pritchett e Larry Summers hanno fatto un certo scalpore con un saggio pubblicato su VoxEU.org (potete leggerlo qui: bit.ly/1JnLR8R) a proposito di una storia molto diffusa sui tassi di crescita economica. Spesso i Paesi poveri che hanno avuto una crescita molto rapida in passato sembrano rallentare quando raggiungono lo status di Paesi a medio reddito, ancora nettamente al di sotto dei livelli di reddito pro capite del Giappone e delle nazioni occidentali. Questa cosa ha indotto molti a teorizzare l'esistenza di una «trappola del medio reddito». Ma Pritchett, professore di economia a Harvard, e Summers, ex segretario del Tesoro, sostengono che in realtà si tratta più che altro di un fenomeno di regressione verso la media: i Paesi che sono cresciuti rapidamente in passato tenderanno ad avere una crescita più normale in futuro, perché la vita va così. Tutto il resto sono interpretazioni esagerate.

Perciò mi domando: la tendenza dei colossi tecnologici a ristagnare nella fase successiva costituisce davvero il prezzo del successo, con relativo irrigidimento, oppure questi rallentamenti ci dicono semplicemente che il fulmine non cade sempre nello stesso punto? I colossi dell'high-tech (anzi i colossi di qualsiasi settore) generalmente sono costruiti su una singola grande idea, e diventano colossali applicando quell'idea. Perché dovremmo aspettarci di vederli fare faville anche nella grande idea successiva?

Farei notare anche, da semplice dilettante nel campo, che sento parlar bene degli ultimi prodotti Microsoft: ma non era un dinosauro, incapace di cambiare perché continuava a incassare grassi profitti facendo le cose al vecchio modo?

Gli esperti di crescita economica conoscono bene il detto che più studiamo un argomento, meno pensiamo di saperne. Mi domando se gli esperti di successo imprenditoriale non farebbero meglio a prendere in considerazione la stessa cosa per il loro campo di studi.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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