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GLI ECCESSI

«Houston abbiamo un problema»: c’è troppa finanza nell’economia

È possibile che ci sia troppa finanza nell'economia? Pesantemente colpita dalle ripercussioni delle crisi finanziarie, arrabbiata per i salvataggi delle istituzioni finanziarie, irritata dalle generose remunerazioni, sbigottita di fronte alle reiterate malversazioni e infuriata per l'impunità di chi le ha commesse, la maggioranza delle persone comuni risponderebbe prontamente di sì.
E non solo loro. Anche gli studiosi e i funzionari di importanti istituzioni internazionali, come il Fondo monetario internazionale e la Banca dei regolamenti internazionali, sono d'accordo. È possibile che ci sia troppa finanza: e la cosa più importante è che c'è troppa finanza in economie importanti, come il Giappone e gli Stati Uniti.

Non servono grandi sforzi per mettere in discussione il ruolo dell'attività finanziaria. D'altronde, fra gennaio 2012 e dicembre 2014, le istituzioni finanziarie hanno dovuto pagare sanzioni per 139 miliardi di dollari alle autorità giudiziarie statunitensi. Più in generale, fa impressione il contrasto fra la quota media del settore finanziario sul prodotto interno lordo degli Stati Uniti tra il 1998 e il 2014 (7 per cento) e la quota media dei profitti nello stesso periodo (29 per cento).
Una società organizzata offre due vie per diventare ricchi. Quella normale consiste nell'esercitare un potere di monopolio. Storicamente, il controllo monopolistico sulle terre, di solito conquistato con la forza, è stato la via maestra per la ricchezza. Un'economia di mercato competitiva offre un'alternativa socialmente più auspicabile: l'invenzione e la produzione di beni e servizi.

Purtroppo, sui mercati è anche possibile ricavare rendite. Il settore finanziario, con la sua complessità e i suoi sussidi impliciti, è in una posizione perfetta in tal senso. Ma pratiche di questo tipo, oltre a dirottare i soldi di un gran numero di persone più povere verso un numero ridotto di persone più ricche, possono infliggere danni seri all'economia.
È la tesi di Luigi Zingales, professore della Booth School of Business dell'Università di Chicago e convinto fautore del libero mercato, nel suo presidential address all'American Finance Association. I danni in questione assumono due forme. La prima è quella del danno diretto, per esempio un boom insostenibile alimentato dal credito. L'altra è il danno indiretto, che nasce dalla rottura della fiducia negli assetti finanziari a causa delle crisi, da una diffusissima politica del «raggiro» o da entrambe le cose.

Zingales mette l'accento sui costi indiretti e afferma che può innescarsi un circolo vizioso tra indignazione dei cittadini, profitti da rendita delle banche e ancora più indignazione dei cittadini. Quando l'indignazione è alta, è difficile regolare i contratti in modo spedito e imparziale. Senza il supporto dell'opinione pubblica, i finanzieri devono cercare protezione nella politica. Ma solo quelli che possono contare su grosse rendite hanno i mezzi per permettersi quest'azione di lobbying, con il risultato è che di fronte al risentimento dei cittadini solo la finanza che campa di rendita (soprattutto le banche più potenti) sopravvive. E questo, inevitabilmente, accresce ancora di più l'indignazione dei cittadini.

Tutto questo non significa che la finanza non sia fondamentale per qualsiasi società prospera e civilizzata. Al contrario: è proprio l'importanza della finanza che rende il suo abuso così pericoloso. I dati indicano chiaramente che un aumento del credito in rapporto al prodotto interno lordo inizialmente spinge verso l'alto la crescita economica. Ma questo rapporto sembra invertirsi quando il credito supera più o meno la soglia del 100 per cento del Pil. Altri ricercatori hanno dimostrato che una rapida espansione del credito è un indicatore affidabile dell'imminenza di una crisi. In una recente nota, il Fmi usa un indicatore dello sviluppo del settore finanziario più sofisticato del rapporto credito/Pil, dimostrando che lo sviluppo del settore finanziario è stato effettivamente molto rapido, in particolare nei Paesi avanzati. E dimostrando anche che, superato un certo limite, la finanza danneggia la crescita.

Altre ricerche indicano che questo effetto negativo si concentra sulla crescita della «produttività totale dei fattori», un parametro che misura la velocità dell'innovazione e dei miglioramenti dell'efficienza nell'utilizzo di capitale e lavoro. In particolare, suggerisce il Fmi, oltrepassata una certa soglia l'allocazione dei capitali e l'efficacia del controllo societario vanno a carte quarantotto. L'impatto dell'influenza finanziaria sulla qualità della corporate governance rappresenta quindi una sfida importante.
Houston, abbiamo un problema. I dati dimostrano largamente che troppa finanza danneggia la stabilità e la crescita dell'economia, distorce la distribuzione del reddito, mina la fiducia nell'economia di mercato, corrompe la politica e determina un incremento esplosivo, e con ogni probabilità inefficace, della regolamentazione. È un problema che dovrebbe preoccupare chiunque, ma in particolare quelli che credono maggiormente nelle virtù morali ed economiche dei mercati competitivi.

Che cosa bisogna fare, allora? Ecco alcune risposte preliminari.
Innanzitutto, è importante la moralità. Come sostiene il professor Zingales, se coloro che si dedicano alla finanza vengono incoraggiati a credere di avere il diritto di fare tutto quello che riescono a fare senza essere beccati, la fiducia verrà meno. Tenere sotto controllo mercati traboccanti di conflitti di interesse e informazioni asimmetriche è molto costoso. Nella maggior parte dei casi non è necessario operare una sorveglianza di questo tipo sui medici, perché ci fidiamo di loro. Dobbiamo poterci fidare più o meno allo stesso modo dei finanzieri.
La seconda cosa da fare è limitare gli incentivi a espandere all'eccesso il peso della finanza. L'incentivo di gran lunga più importante è la deducibilità fiscale degli interessi, da eliminare assolutamente. Nel lungo periodo, molti contratti di debito dovranno essere trasformati in contratti di condivisione del rischio.

La terza cosa da fare è liberarsi delle istituzioni troppo grandi per fallire e troppo grandi per essere mandate in galera. Le due cose vanno insieme. Il modo più semplice per liberarsi delle istituzioni troppo grandi per fallire sarebbe innalzare in modo sostanziale la quota obbligatoria di capitale proprio per quelle istituzioni finanziarie che sono importanti per la tenuta del sistema.
Di fronte a una misura del genere, molte banche deciderebbero di scorporarsi. A quel punto, dovrebbe ridursi anche il timore per le conseguenze di una procedura giudiziaria. Personalmente andrei oltre, separando i sistemi monetari dai sistemi finanziari attraverso l'introduzione del narrow banking (cioè sostenendo i depositi a vista con le riserve della Banca centrale).
Infine, tutti devono avere una cognizione chiara degli incentivi all'opera in tutti i «mercati promettenti»: sono mercati esposti alla corruzione da parte di persone a cui non interessa nulla se le promesse vengono mantenute o se la controparte non capisce nemmeno che cosa le viene promesso.
Non abbiamo bisogno di più finanza, abbiamo bisogno di una finanza migliore. E sì, questo potrebbe voler dire anche molta meno finanza.

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(Traduzione di Fabio Galimberti)

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