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Perché il castello dei mercati si regge tutto sulla disoccupazione…

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Perché il castello dei mercati si regge tutto sulla disoccupazione americana

Ogni giorno una pioggia di dati macro piomba nelle stanze di trader e investitori. Le scelte su dove e come allocare i capitali tengono conto anche di questi numeri che misurano l’andamento del ciclo di ripresa, la fiducia degli attori economici, il numero delle case vendute, ecc.

Tra i dati macro, quello che gli operatori stanno guardando negli ultimi mesi con più attenzione è il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti non farm payroll (ovvero quello che non tiene conto degli occupati del settore agricolo). Questo dato viene comunicato mensilmente e il prossimo appuntamento è fissato per venerdì. Come mai è un numero così significativo per i mercati?

Perché in questo momento le scelte a cascata degli operatori sono basate sulle aspettative di un calo del tasso di disoccupazione negli Stati Uniti, attualmente al 5,5%, sotto la barriera del 5%. Se negli ultimi mesi i capitali sono affluiti sul dollaro (+10% da inizio anno sull’euro) e sulle Borse europee (+17%) anziché su quelle statunitensi (-0,8%) è proprio perché dietro c’è questa “scommessa” di fondo.

Il castello dei mercati finanziari si poggia oggi sostanzialmente su questo schema: se il tasso di disoccupazione negli Usa continua a scendere e a direzionarsi verso la soglia di piena occupazione fisiologica (3-4%) vuol dire che contestualmente aumenteranno i consumi (in virtù dell’aumento del reddito da parte delle fasce di popolazione meno agiata) e a ruota l’inflazione (che si muove soprattutto quando la coda lunga della popolazione, la fascia più debole, aumenta i consumi). A quel punto la Fed sarà costretta a rialzare i tassi di interesse.

Uno schema che prevede un dollaro forte (sia perché l’economia Usa nello schema vicino alla piena occupazione risulterebbe di conseguenza in crescita e sia perché un rialzo dei tassi attirerebbe capitali sui titoli di Stato Usa che pagherebbero quindi cedole più alte), Wall Street meno attraente (i dividendi diventerebbero meno competitivi con i titoli goverativi Usa) rispetto alle Borse dell’Eurozona (che continueranno a beneficiare del sostegno della Bce nella speranza di rimettere in careggiata l’economia). Ed è per questo che gli investitori si stanno muovendo in questa direzione, giocando d’anticipo su questa ipotesi sottostante.

E se invece il tasso di disoccupazione negli Usa dovesse tornare a salire, in area 6-7%, allontanandosi quindi dall’attuale direzione verso la piena occupazione? «A quel punto i trend attuali sui mercati finanziari potrebbero cambiare. Ma solo a quel punto - spiega Massimo Siano, head of Southern Europe per Etf Securities -. Ecco perché il dato sulla disoccupazione Usa è così importante. È un po’ l’ago della bilancia delle posizioni e strategie messo in campo dagli operatori finanziari negli ultimi mesi».

Intanto, nelle ultime sedute il dollaro ha ripreso a rafforzarsi sull’euro (risalito a 1,09 rispetto a 1,04). Questo perché non è ancora chiaro quando la Federal Reserve alzerà i tassi, convalidando lo schema di fondo che hanno in testa i mercati finanziari.

Secondo Janet Yellen la banca centrale inizierà probabilmente a rialzare gradualmente il costo del denaro nel corso dell'anno, ma il processo potrebbe «accelerare, rallentare o subire pause».

Insomma, la Fed prende tempo ma l’idea di fondo degli investitori - salvo clamorose inversioni al rialzo del tasso di disoccupazione - è chiara.

Allo stesso tempo, importando la teoria anche nell’Eurozona viene da chiedersi come è pensabile ipotizzare un aumento rapido dell’inflazione (nelle intenzioni della Bce c’è proprio questo ed è per questo che è stato varato un piano di iniezione monetaria da 1.140 miliardi di euro chiamato quantitative easing) di fronte a un tasso di disoccupazione medio del 12%, quindi lontanissimo dalla soglia di piena occupazione fisiologica. In fin dei conti, è questo il vero motivo per cui l’inflazione non riparte: c’è ancora un’ampia fascia della popolazione europea tecnicamente impossibilitata ad azionare la leva dei consumi.

Domani, quando Eurostat diffonderà i nuovi dati sull’occupazione nell’Eurozona a febbraio, i mercati avranno un dato in più su cui arrovellarsi.

twitter.com/vitolops

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