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Banche, 2015 in utile ma resta il nodo «bad bank»

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come saranno i bilanci

Banche, 2015 in utile ma resta il nodo «bad bank»

C’è aria di svolta per il sistema bancario italiano. E le prime avvisaglie si vedranno già settimana prossima con le trimestrali che verranno diffuse. Il cambio di passo, quasi una cesura, è con il passato travagliato della crisi. Per la prima volta dopo 4 anni - in cui il sistema nel suo complesso ha cumulato perdite dal 2011 al 2014 per la cifra record di oltre 48 miliardi di euro – il 2015 vedrà tornare i profitti.

Ne è convinta la società di consulenza Prometeia che stima utili aggregati per l’universo bancario per circa 3,8 miliardi. Ma non è solo Prometeia a segnalare il riavvio di un ciclo. Anche gli economisti del Cer, il Centro Europa Ricerche, stimano profitti per le banche quest’anno nell’ordine dei 2 miliardi. E il consenso di mercato prevede profitti netti per le prime 5 banche quotate italiane attorno ai 6 miliardi.

Il ritorno ai profitti si accompagna all’uscita dell’Italia dalla lunga recessione post-crisi Lehman. Ma se dà un po’di sollievo ai banchieri, non lascia troppo spazio ai festeggiamenti. Il ritorno degli utili non è infatti figlio di una rinnovata crescita dei ricavi (che sarebbe un segno evidente di ritrovata salute), ma in realtà del minor peso delle perdite sui crediti malati. Che restano comunque una zavorra possente in pancia alle banche. Lo spiega bene Lea Zicchino di Prometeia, che prevede un’accelerazione del monte utili da 3,8 miliardi a 21,5 miliardi nel triennio 2015-2017 con un Roe (un ritorno sul capitale) al 3,7% al 2017. «Il contributo a un Roe che passerà da negativo (-3%) al +3,7% nel triennio sarà dovuto solo per l’1% alla parte ricavi e per oltre il 6% alle minori rettifiche su sofferenze e incagli». Nel modello di Prometeia infatti le perdite sui crediti passeranno dai 99 miliardi cumulati dal 2011 al 2014 ai 51 miliardi attesi nei prossimi tre anni. Come si vede si dimezzano le svalutazioni sui prestiti malati, ma la cifra resta importante e dice tuttora che sofferenze e incagli restano il grande Tallone d’Achille del sistema bancario italiano.

E anche a fine 2017 finiranno, secondo Prometeia per pesare per oltre il 44% sul risultato di gestione. Ancora tanto, senza dimenticare che anche con un Roe al 4%, il gap con il costo del capitale non si colmerà.

Luci quindi, con un quadriennio di pesante crisi che viene lasciato alle spalle, ma ancora molte ombre. È vero che il flusso di nuove sofferenze e incagli sta diminuendo, ma lo stock dei crediti deteriorati come ricorda Banca d’Italia resta elevatissimo. A fine del 2014 i prestiti deteriorati erano di 350 miliardi, il 17,7% degli impieghi complessivi. Un sesto dei crediti concessi è malato e suscettibile di nuovi accantonamenti nei prossimi anni.

Conferma il ritorno ai profitti anche Carlo Milani del Cer che in un rapporto di prossima pubblicazione stima utili aggregati per 2 miliardi quest’anno per salire a 13 miliardi nel 2017. «Saranno le minori rettifiche sui crediti a restituire un po’ di profittabilità che resta però bassa. Non dimentichiamo che le grandi pulizie sono state fatte nel 2014 in occasione degli stress test e quindi il 2015 vedrà un peso minore. Ma il margine d’interesse tenderà a restare piatto dati i tassi bassissimi e i volumi che cresceranno poco, compensato da maggiori ricavi da servizi, commissioni dal risparmio gestito e gestione finanziaria. Tanto che complessivamente anche negli anni bui della crisi il margine d’intermediazione ha di fatto tenuto. Ma le svalutazioni sui crediti saliti a ritmi esplosivi hanno fatto tutta la differenza».

Il tema dei prestiti sofferenti resta il nodo difficile, tuttora ancora da sciogliere e riporta al centro della scena il tema della bad bank. Milani dà un giudizio severo: «Arriviamo tardi, troppo tardi e male. Altri paesi dalla Spagna, all’Irlanda, alla Grecia sono stati più rapidi e ora che la normativa sugli aiuti di Stato si è fatta più severa, l’Italia arriva buon ultima e con pastoie normative assai più rigide e quindi spazi di manovra limitati». Ma una bad bank è quanto mai necessaria per sgravare la zavorra di sofferenze e incagli che limita nuovo credito e appesantisce i bilanci. Certo è che per evitare infrazioni e non pesare sul bilancio pubblico, la bad bank dovrebbe comprare a prezzi di mercato. Ed è proprio qui il tasto dolente. Il mercato non c’è, bloccato dal divario tra domanda e offerta con una forbice sempre troppo ampia. Tanto per dare un’idea Bankitalia rileva che la compravendita di sofferenze è stata di soli 7 miliardi nel biennio 2013-2014. Una briciola nel mare magnum dei quasi 200 miliardi di sofferenze che stanno in pancia alle banche italiane. Il nodo è infatti il valore. Le banche hanno già svalutato in media del 50% i prezzi delle loro sofferenze. Per evitare nuove perdite le banche dovrebbero vendere appunto a 50 le loro sofferenze, ma i compratori non vanno oltre 20. I tempi di recupero sono talmente lunghi e aleatori che il possibile compratore per garantirsi un margine di profitto offre prezzi molti bassi. «La bad bank serve proprio a questo in realtà – dice Zicchino -. A costituire un floor per i prezzi che consenta di creare un mercato che non c’è».

E Milani avverte su un altro punto. «Ora che gli utili faticosamente e blandamente tornano non si sprechi l’occasione. Non si riavvii un ciclo ricco di dividendi. Gli utili devono restare in banca a rafforzare il capitale per permettere nuovo credito». Con buona pace di Fondazioni e azionisti. E questo è l’altro dilemma. Tornare a remunerare i soci o usare i profitti per tenere alto il capitale e liberare spazio per nuovo credito? Si vedrà se oltre agli utili torneranno i prestiti.

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