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I prezzi sono bassi grazie alla finanza

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analisi

I prezzi sono bassi grazie alla finanza

  • –di DavideTabarelli

Il greggio Brent in un mese e mezzo ha perso circa 10 dollari per barile, scendendo sotto la soglia dei 50 dollari. Rispetto a un anno fa il prezzo è dimezzato e la recente ricaduta conferma come siano strutturali le condizioni di debolezza.

Diversamente dal passato, questa volta è chiaro: la causa principale della caduta è la finanza, in particolare quella americana.

Non si tratta dei soliti sospetti sui mercati a termine (futures), per i quali da sempre si discute, senza mai chiarire, dove finiscono le coperture assicurative e dove cominciano le speculazioni. Le prove, invece, riguardano l'enorme abbondanza di capitali che sono fluiti nel tessuto di imprese americane a partire dalla crisi del 2008, quando la Fed cominciò ad iniettare liquidità che poi portò i tassi di interessi vicino allo zero. L'entusiasmo per le nuove società che facevano la fratturazione assistita (fracking) ha contagiato tutti, come una moderna corsa all'oro. L'indebitamento è stato massiccio, e oggi con prezzi dimezzati, ci si chiede se è stata una bolla. Un anno fa si diceva che il costo marginale del greggio americano era fra i 70 e i 100 dollari, mentre oggi si parla di 30 dollari. Il numero di torri di perforazione (rigs), quelle che cercano nuovi giacimenti, è sceso da 1.900 a 800 in un anno, ma nelle ultime settimane è ritornato a salire, incremento che ha concorso all'ultima caduta dei prezzi.

Sta di fatto che la produzione di petrolio Usa dal 2008 ad oggi è salita di 4 milioni di barili giorno, oltre 9,5 vicino ai picchi assoluti dei primi anni 70. La dipendenza da importazioni petrolifere è così scesa ad un minimo del 267%, anche questo quasi oltre la metà di 10 anni fa. Proprio grazie al calo della dipendenza, il presidente Obama ha potuto mutare la politica estera in Medio Oriente. Pur di arrivare ad un accordo con l'Iran, siglato lo scorso 14 luglio, si è disinteressato della reazione, finora durissima, da parte dell'Arabia Saudita. Questa, che ha spinto nelle ultime settimane ai massimi la sua produzione verso i 10,5 milioni barili giorni, non vuole fare posto al ritorno della produzione iraniana, attualmente ferma a 2,8 milioni barili giorno. Addirittura, per non intaccare le sue enormi riserve di quasi 700 miliardi di dollari e per rendere più sostenibile la sua strategia, sta ricorrendo ad emissioni di titoli, sfruttando così proprio i bassi tassi interessi. L'Iran è fermo a 2,8 milioni di barili, ma, dovessero le sanzioni essere tolte, cosa ancora tutta da verificare solo a fine anno, potrebbe velocemente aumentare di 0,5 milioni barili giorno e poi di un altro milione nel 2016. Impressiona sempre ricordare che nel 1979, prima della rivoluzione komeinista, la produzione di Teheran era di 6 milioni di barili giorno, con un obiettivo di 10-12 per superare i sauditi; nel frattempo la popolazione iraniana è più che raddoppiata a quasi 80 milioni di abitanti, la gran parte giovani, che hanno un disperato bisogno di esportare più petrolio.

Il 2 agosto del 1990 l'Iraq di Saddam Hussein invadeva il Kuwait; da allora il mercato petrolifero ha sempre risentito dell'assenza, o dell'instabilità, della produzione irachena. Negli ultimi mesi questa ha raggiunto nuovi record a 4,2 milioni barili giorno, anche questo un livello non toccato dalla fine degli anni '70. Finalmente, dopo 25 anni di stabilità, si intravede qualche risultato positivo delle dispendiose azioni militari Usa, da cui proprio Obama ha voluto uscire. Se non fosse che mancano circa 2 milioni di produzione della nostra vicina Libia, dove la situazione è disastrosa, i prezzi sarebbero più bassi di altri 10-15 dollari.

Rispetto al passato, quando era solo lo scontro Iran-Arabia Saudita a dettare le dinamiche di fondo del prezzo, oggi c'è anche la produzione dal fracking degli Stati Uniti a giocare un ruolo importante, prevalentemente, per nostra fortuna, al ribasso. Il sospetto che la finanza Usa abbia gonfiato i prezzi oltre i 100 dollari fino al 2014 è destinato a rimanere rimarrà tale. Che abbia portato i tassi ai minimi, a vantaggio e che abbia inondato di capitali delle migliaia di aziende del petrolio americane, è una certezza. Ad essa occorre, una volta tanto, rendere merito, sperando che la bolla non scoppi.

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