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Le banche d’affari studiano il dossier Intesa-UniCredit-Mps

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ipotesi di borsa

Le banche d’affari studiano il dossier Intesa-UniCredit-Mps

C’è un dossier di maxi-fusione bancaria, poche pagine preparate da una banca d’affari, che negli ultimi giorni gira sui tavoli dell’alta finanza. Il dossier disegna una maxi-operazione societaria che coinvolgerebbe le tre maggiori banche italiane: UniCredit, Intesa e Mps. Chi lo ha visionato, stando alle indiscrezioni, parla di un progetto iniziale di fusione tramite scambio azionario tra UniCredit e Intesa Sanpaolo.

Con un possibile successivo scorporo della parte italiana di UniCredit, che poi sarebbe apportata a Mps. L’ipotesi - categoricamente smentita ieri sera sia da Intesa che da UniCredit, non è stato possibile avere un commento da Mps - appare vicina alla fantafinanza, eppure nelle ultime ore il tam tam sull’esistenza del progetto si è fatta insistente e ha iniziato a circolare sia a Milano che a Roma. Come era già accaduto nel 2012 quando, si disse allora, tra gli autori del progetto vi era Claudio Costamagna, all’epoca banchiere d’affari e da poche settimane neo presidente della Cassa Depositi e Prestiti.

Che chance ha di andare in porto il progetto che, ufficialmente, nessuno dice di conoscere? I piani strategici sia di UniCredit che di Intesa Sanpaolo sono noti da tempo: esclusa ogni crescita ulteriore in Italia. Ed escluso qualsiasi interesse per un’aggregazione con Mps. Sia il ceo di Intesa Sanpaolo Carlo Messina che quello di UniCredit Federico Ghizzoni sono stati chiari su questo punto, anche in occasione dei recenti incontri con gli investitori istituzionali che rappresentano oltre il 50% del capitale.

Una combinazione tra le due banche, guardando solo alle sovrapposizioni territoriali dei due «campioni nazionali» (e ancor prima dell’inevitabile scrutinio dell’Antitrust), porterebbe alla eliminazione di almeno 2000 sportelli con pesanti ricadute occupazionali stimabili in 20-25.000 tagli tra filiali, corporate center e personale delle direzioni generali. Le ricadute peggiori, però, potrebbero riguardare il sistema del credito alle imprese. La fusione tra Intesa e UniCredit porterebbe alla creazione di un soggetto che, unendo in una sola entità le esposizioni creditizie, farebbe superare i limiti consentiti dalla Vigilanza. E difficilmente il surplus di credito da gestire potrebbe essere «assorbito» con facilità dalle banche piccole e medie, alle prese con i requisiti di capitale imposti da Bankitalia e soprattutto Bce.

Dal punto di vista societario, non è chiaro in che modo sarebbe «smembrato» UniCredit senza un’adeguata remunerazione per i suoi azionisti. In teoria, secondo gli estensori del dossier, Intesa Sanpaolo dovrebbe beneficiare del conferimento della rete estera di UniCredit. Ma anche per Intesa Sanpaolo, che non ha alcun piano nuovo di crescita a est, l’operazione potrebbe essere ad alto rischio perchè - con la maxi-crescita dimensionale - rientrerebbe nella categoria delle Sifi e dunque si troverebbe a dover affrontare coefficienti di capitale più elevati, mangiandosi gran parte del «buffer» positivo cumulato in anni di buona gestione. Come si vede, nessuno ha apparente interesse a portare avanti un progetto che - a parte risolvere (forse) il nodo dell’aggregazione che Bce continua a pretendere per Mps - sembra rientrare nella fantafinanza. E a forte rischio di bocciatura dei mercati. Eppure il dossier circola.

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