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Da Vienna e Parigi sul petrolio soffiano venti ribassisti. Brent verso i…

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Da Vienna e Parigi sul petrolio soffiano venti ribassisti. Brent verso i minimi da 6 anni

Tra Vienna e Parigi nubi sempre più fosche si stanno addensando sul futuro del petrolio. Il vertice Opec, che si terrà venerdì nella capitale austriaca, promette di concludersi con una conferma della strategia del gruppo e dunque innescare ulteriori ribassi del prezzo del barile, dopo che ieri il Brent ha sfiorato il minimo da sei anni, scendendo fino a 42,43 dollari, appena 20 centrs sopra il record negativo di agosto.

Dalla Francia, dove sono in corso i negoziati sul clima, arrivano intanto annunci trionfali di fuga degli investitori dai combustibili fossili: soprattutto i più “sporchi”, carbone e sabbie bituminose, ma anche il petrolio convenzionale e persino il gas, decisamente meno inquinante e secondo molti esperti indispensabile a garantire la transizione verso un mondo (tuttora utopico) trainato solo da energie rinnovabili.

Tra fondi di investimento, banche, assicurazioni ed enti pubblici, ci sono già oltre 500 istituzioni, con asset in gestione per 3.400 miliardi di dollari, impegnate in qualche forma di disinvestimento dalle fonti fossili, hanno annunciato ieri a Parigi 350.org e Divest-Invest, due ong internazionali. Il loro numero è cresciuto in modo spettacolare, man mano che ci si avvicinava a Cop21: appena due mesi fa - quando anche il celebre attore Leonardo Di Caprio aveva pubblicamente sposato la causa - le istituzioni erano 400, con 2.600 miliardi in gestione, mentre un anno fa erano solo 181, con asset per una cinquantina di miliardi.

Le cifre sono ancora limitate, se confrontate con l’universo dei fondi di investimento, il cui gestito supera 30mila miliardi di dollari. Inoltre, non è chiaro - nemmeno alle due ong che tengono i conti - quanti soldi siano stati davvero sottratti alle compagnie petrolifere e alle società che estraggono o bruciano carbone. Di sicuro troppo pochi per fare la differenza: se le azioni in Borsa sono crollate nell’ultimo anno è perché i prezzi dei combustibili sono andati a picco, non altro.

Tuttavia il movimento di opinione contro le fonti fossili sta acquistando forza, aiutato dal fatto di aver arruolato investitori importanti e talvolta influenti. Tra questi la Chiesa anglicana, numerose università di prestigio, il fondo sovrano norvegese (che pure ha riempito le sue casse proprio grazie al petrolio e al gas) e grandi compagnie di assicurazioni come Axa e Allianz.

La procura generale di New York ha inoltre aperto un altro fronte contro Big Oil, mettendo sotto indagine ExxonMobil, sospettata di aver nascosto per decenni i rischi del cambiamento climatico (si veda il Sole 24 Ore del 6 novembre). Se il caso di allargasse ad altre compagnie e se le accuse fossero provate, il settore rischierebbe di dover pagare risarcimenti miliardari: qualcosa di simile a quanto accaduto in passato alle multinazionali del tabacco.

La minaccia più forte viene comunque proprio dai negoziati sul clima: in caso di successo, gli scenari di consumo per i combustibili fossili sarebbero certamente meno rosei. L’Opec già da anni ne è ben consapevole e proprio la domanda è l’aspetto che maggiormente preoccupa almeno una parte dei suoi membri.

Secondo indiscrezioni raccolte dalla Reuters, l’Organizzazione - che va incontro al vertice di venerdì profondamente divisa - non è riuscita a mettersi d’accordo nemmeno sulla strategia di lungo periodo: diversi Paesi membri, tra cui Iran e Algeria, contestavano le previsioni sulla domanda elaborate dagli economisti dell’Opec giudicandole troppo rosee. La caduta dei prezzi quest’anno ha stimolato i consumi petroliferi, ma se questi non continueranno a correre (e ci sono diversi motivi per dubitare, a cominciare dallo stato dell’economia cinese) smaltire l’eccesso di offerta sul mercato richiederà un tempo ancora più lungo. Anche perché tuttora si estrae troppo greggio: Russia e Iraq in novembre hanno aggiornato i record, rispettivamente a a 10,78 e 3,37 milioni di barili al giorno.

L’idea di un taglio di produzione a questo punto tenta un gran numero di Paesi Opec. Ma la decisione richiederebbe l’unanimità ed è ben difficile che l’Arabia Saudita e i suoi alleati del Golfo Persico mollino il colpo.

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