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Banche e «crediti cattivi»: la Bad bank spiegata ai non…

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PRO E CONTRO

Banche e «crediti cattivi»: la Bad bank spiegata ai non addetti ai lavori

Bad bank, la “banca cattiva”, e Spv (Special purpose vehicle). Molti diranno che tutte le banche sono cattive (come dice la solita battuta, sono quegli istituti che ti prestano l'ombrello quando splende il sole e lo rivogliono indietro quando piove). Ma la Bad bank (d'ora in poi abbreviata con BB) configura uno specifico tipo di banca, i cui pro e i cui contro sono esposti nelle domande e risposte qui di seguito.

Allora, cos'è la BB?
Prima di rispondere a questa domanda, chiediamoci quali sono le circostanze che costringono a ricorrere a una BB.

Ok, in quali circostanze si ricorre a una BB?
Supponiamo che in un Paese ci sia una grave crisi economica. Molte imprese falliscono e non riescono a ripagare alla scadenza i debiti che avevano contratto con le banche; oppure, rimandano il pagamento degli interessi. È una cattiva notizia per le imprese, ed è ovvio. Ma è anche una cattiva notizia per le banche, che vedono ingrandirsi i crediti dubbi (le cosiddette “sofferenze”) e rischiano di andare in crisi anch'esse. Ed è, di nuovo, una cattiva notizia per le imprese, perché le banche, sofferenti, tirano in barca i remi dei prestiti o chiedono ad altre imprese di rientrare dai loro fidi (“rivogliono indietro l'ombrello quando piove”). E così facendo la crisi si aggrava, perché la stretta sui prestiti sottrae al sistema economico quel cruciale lubrificante che è il credito. La crisi, insomma, rischia di diventare cronica, se non di avvitarsi in una spirale depressiva. Come uscirne?

A questo punto, la risposta è obbligata: con una BB. Ma cos'è la BB?
La BB è una banca che non è una banca come la intendiamo noi (cioè un'istituzione che prende depositi e fa prestiti). È, diciamo, un veicolo societario al quale la “banca buona” (non la chiamiamo BB, se no confondiamo le idee – chiamiamola BM, la “banca madre”) trasferisce i suoi crediti, incagliati o “sofferti” che siano. Così la BM, alleggerita da quelle tossine che avvelenavano i suoi bilanci, può nuovamente fare il suo mestiere, tornare a prestar soldi e raccogliere capitali, da depositanti o da sottoscrittori di obbligazioni che non siano più preoccupati per la sorte della banca.

Detto così, sembra l'uovo di Colombo. Ma ci sono dei particolari che non sono chiari. Primo: queste sofferenze vengono trasferite alla BB a titolo oneroso o gratuito? Oneroso, certamente. E perché non a titolo gratuito?
Se fossero a titolo gratuito, la BM farebbe più presto a cancellare quei crediti come inesigibili.

E perché non lo fa?
Per due ragioni: perché non tutti quei crediti sono inesigibili (sofferenza non vuol dire morte); e soprattutto perché, se dovesse cancellare quei crediti “hic et simpliciter”, dovrebbe registrare una corrispondente perdita nei suoi bilanci...

...ma le banche non hanno già un fondo svalutazione crediti che serve appunto ad assorbire quelle perdite?
...Sì, ma la mole delle sofferenze è tale che quei fondi non bastano. La cancellazione di quei crediti, o il loro trasferimento a titolo gratuito, porterebbe a perdite talmente grosse che le banche fallirebbero, con tutte le conseguenze che si possono immaginare.

D'accordo, allora quelle sofferenze vengono trasferite alla BB a titolo oneroso. Ma quanto oneroso? Chi stabilisce il prezzo?
Questo è, naturalmente, il punto fondamentale. Mettiamo che il valore nominale di quei crediti sia 100. A quanto si possono trasferire? 20, 50, 80...? Ogni prestito in sofferenza ha una storia a sè e le probabilità di rientrare in tutto o in parte di quel credito sono diverse. Si tratta di fare una disamina caso per caso, e poi di fare una media dei risultati.

Allora, mettiamo che da questa media venga fuori un valore di 60. Ma cosa succede se, a questo prezzo, e anche tenendo conto del ricorso al fondo svalutazione crediti, la banca finisce col registrare sul bilancio perdite insostenibili?
Succede che a questo punto non si può ricorrere alla BB. Per evitare il fallimento della BM bisogna pensare ad altre soluzioni. Come la fusione di quella BM con un'altra banca più solida o la ricapitalizzazione a opera dello Stato, che in pratica è una nazionalizzazione della banca. Il ricorso alla BB è possibile solo nei casi in cui una cessione delle sofferenze a prezzi realistici non sia tale da scassare i bilanci della banca.

Torniamo allora alla cessione a titolo oneroso. La BM incassa, ma chi paga?
La BB.

Sì, ma dove prende i soldi la BB?
Nella storia economica del dopoguerra vi sono stati, in Europa e in America, molti casi di BB, con soluzioni diverse per il finanziamento. Il meccanismo escogitato oggi per l'Italia è il seguente. Viene creato un veicolo societario (Spv, Special purpose vehicle), giuridicamente distinto dalla BM, al quale la BM trasferisce le sofferenze. La Spv cartolarizza questi prestiti: cioè li “impacchetta”, creando delle obbligazioni che sono garantite (si fa per dire) dalle sofferenze sottostanti. Queste obbligazioni vengono vendute al pubblico, a investitori istituzionali o privati, e, col ricavato di questa vendita, la BB paga alla BM il valore convenuto.

Queste obbligazioni sono tutte eguali?
No, sono divise in tranche, a seconda del grado di rischio delle sofferenze sottostanti. Queste tranche si dividono in “Junior”, “Mezzanina” e “Senior”, con le “Senior” che sono le più sicure (o meno insicure).

Ma che interesse hanno gli investitori ad acquistare queste obbligazioni cartolarizzate?
Queste obbligazioni frutteranno un interesse che può essere giudicato interessante dagli investitori.

Ma da dove vengono i soldi per pagare questi interessi?
La Spv continua a gestire le sofferenze e raccoglie quel che raccoglie, come interessi e restituzione di capitale, dai prestiti in sofferenza (molti dei quali sono assistiti da garanzie reali). Con quel che raccoglie la Spv serve il prestito obbligazionario che ha emesso.

Ma gli investitori possono essere preoccupati che quei crediti siano davvero inesigibili. Non avranno bisogno di qualche forma di garanzia?
Quando la Fiat o la General Motors, o la Siemens o lo Stato francese emettono obbligazioni, non ci sono garanzie da parte di nessuno. Ogni emissione obbligazionaria comporta, da parte di chi compra, l'accettazione di un rischio, e questo rischio è già prezzato nella misura del rendimento. Chi voglia stare sul sicuro può comprare un'assicurazione contro il rischio di default da parte dell'emittente.

Ma dietro queste obbligazioni che si appoggiano su crediti in sofferenza non c'è il nome di una grande azienda o di uno Stato sovrano. Non sarebbe meglio assortirle con qualche forma di garanzia?
È stato fatto. L'accordo fra il Governo e la Commissione stabilisce che le tranche “Senior” possano essere assortite di una garanzia concessa dallo Stato italiano dietro pagamento di una commissione da parte delle banche che hanno ceduto i prestiti in sofferenza. Questa garanzia facilita il collocamento delle obbligazioni cartolarizzate.

Ma le assicurazioni contro il rischio di default già esistono nel settore privato, e sono state ampiamente usate. Perché lo Stato italiano deve essere lui a dare queste garanzie e non lascia fare al mercato?
La mole delle sofferenze è tale che presentano un rischio sistemico, ed è giusto che siano i poteri pubblici a intervenire. Il ricorso al mercato per questo tipo di garanzie sarebbe stato più costoso.

Questo non vuol dire, però, che lo Stato finisce col sussidiare questa operazione facendo pagare la garanzia meno di quanto sarebbe costata ricorrendo al mercato?
Un assicuratore privato avrebbe prezzato la garanzia aggiungendo, alla probabilità attuariale di finire col dover pagare in caso di default, un margine di profitto. Lo Stato italiano, che, come gli altri Stati, è un'organizzazione non profit, può ignorare questo margine.Rimane il fatto che, facendo pagare una garanzia meno di quanto l'avrebbe fatta pagare il mercato, si introduce una distorsione della concorrenza. La Ue potrebbe considerare questa operazione come un aiuto di Stato.
In effetti i negoziati con la Commissione hanno scavato a lungo nei dettagli tecnici di questa garanzia e alla fine la Commissione ha convenuto che non si tratta di un aiuto di Stato, ma di un'operazione di mercato. Hanno aiutato ad arrivare a questa conclusione due fattori: primo, il fatto che un mercato per operazioni di questa mole non esiste, e quindi c'è una certa latitudine nel decidere se questa operazione è di mercato o non di mercato; secondo, l'abilità dei negoziatori italiani, e una buona disposizione, anche da parte della Commissione, a evitare scontri frontali.

Alla fine, qualcuno rimarrà col cerino acceso in mano? Se c'è una garanzia dello Stato, non saranno poi i contribuenti a pagare?
La possibilità teorica c'è, ma in ogni caso la garanzia è stata concessa solo per le tranche “Senior”, quelle più sicure. In questi decenni queste forme di BB sono state messe in opera in vari Paesi e i risultati sono stati generalmente incoraggianti. Il ministero dell'Economia afferma che l'operazione non comporterà oneri per il bilancio dello Stato e, al contrario, potrebbe rivelarsi positiva, dato che i “premi” che lo Stato incassa saranno maggiori degli esborsi prevedibili. Un'affermazione che non è matematicamente esatta, ma che sembra ragionevole sulla base dell'esperienza storica, che ha visto in altri Paesi molti casi di BB o di altri tipi di salvataggi pubblici rivelarsi profittevoli per le casse dello Stato.

Così sarà risolto una volta per tutte il problema delle sofferenze bancarie?
Sarebbe bello se così fosse. Verrebbe risolto il problema delle sofferenze pregresse, ma non di quelle che si creano nel presente e di quelle che si creeranno nel futuro. Per queste la sola soluzione sta nel ritorno alla crescita dell'economia. Non per nulla il problema che stiamo cercando di risolvere si è creato lungo anni di crisi, con una perdita di 9 punti di Pil e un aumento di 5 punti di disoccupazione (dal 2007 al 2014). Le sofferenze sono un effetto e non una causa della crisi, anche se possono, come detto sopra, diventare a loro volta una causa, indebolendo le banche. Ma la soluzione vera sta in un ritorno della domanda, della voglia di spendere, rischiare e investire, innescata da maggiore fiducia e da politiche economiche volte a favorire la crescita.

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