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Doppio colpo da Iran e Arabia Saudita. E il petrolio torna a scendere

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Doppio colpo da Iran e Arabia Saudita. E il petrolio torna a scendere

Un colpo dall’Iran, che ha definito «ridicola» la pretesa di convincerlo a contenere l’offerta di petrolio, e un colpo dall’Arabia Saudita, che ha escluso la possibilità di un taglio di produzione a breve.

Dopo i forti rialzi di lunedì, ieri il barile non poteva che invertire la rotta. E così ha fatto, confermando per l’ennesima volta l’estrema volatilità dei prezzi e il forte influsso che sono capaci di esercitare sui listini azionari: il Wti è scivolato di oltre il 5% e Wall Street ha girato in negativo mentre il ministro del Petrolio saudita Ali Al Naimi parlava dal Texas, ospite di un convegno, e quasi contemporaneamente quello iraniano, Bijan Zanganeh, lanciava proclama da Teheran attraverso i media locali. Alla fine il greggio americano ha chiuso a 31,87 dollari al barile (-4,6%), l’europeo Brent a 33,27 $ (-4,1%), senza cancellare del tutto il progresso di lunedì.

Il ministro Zanganeh, che la settimana scorsa era stato molto diplomatico nel commentare l’intesa di Doha (si veda il Sole 24 Ore del 18 febbraio), ieri è tornato ad essere tranchante nei confronti di sauditi e russi: «È uno scherzo che ci vengano a dire che congeleranno la produzione a 10 milioni di barili al giorno, chiedendoci in cambio di congelare la nostra». Parole dure, che sembrano chiudere la porta alla possibilità di un accordo che includa anche Teheran.

Il saudita Al Naimi tuttavia qualche spiraglio di speranza sulle trattative l’ha lasciato, affermando che andranno avanti anche in marzo (Mosca aveva accennato a un termine di scadenza a fine mese) e di essere fiducioso di raccogliere ulteriori adesioni all’iniziativa, che - ha ribadito - sarebbe solo «l’inizio di un processo».

Il mercato non deve tuttavia illudersi che a riequlibrare domanda e offerta di petrolio interverrà un taglio della produzione: «Noi non ci contiamo», ha detto il saudita dal palco dell’Ihs Cera Week a Houston, spiegando di non fidarsi abbastanza degli altri produttori. «Non succederà perché non ci saranno molti Paesi in grado di tenervi fede. Anche se dicono che lo faranno, non taglieranno». Cercare di costruire consenso in quella direzione, ha concluso Al Naimi, è «una perdita di tempo».

Ryiadh e gli altri membri dell’Opec dovranno «rimanere vigili» e «pronti a reagire in caso di malfunzionamento del mercato o di volatilità estrema», ma Al Naimi rimane convinto del primato delle leggi economiche: «I produttori dei barili ad alto costo devono trovare il modo di abbassare i costi, prendere denaro a prestito oppure fallire. È duro, ma è il modo più efficiente di riequilibrare il mercato».

L’Arabia Saudita non è in guerra con lo shale oil, ha ripetuto il ministro. «Stiamo facendo le stesse cose che fa chiunque di voi in questa sala - ha detto rivolgendosi alla platea di Houston - Rispondiamo alle difficili condizioni del mercato e cerchiamo il migliore risultato in un ambiente molto competitivo».

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