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Perché il gasdotto Russia-Italia potrebbe non restare sulla carta

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Perché il gasdotto Russia-Italia potrebbe non restare sulla carta

Non c’è due senza tre. Rispetto a South Stream e Turkish Stream, tuttavia, l’ultimo gasdotto suggerito da Gazprom - una condotta dalla Russia all’Italia, in collaborazione con Edison e la greca Depa - potrebbe non restare sulla carta. La pipeline è meno costosa da realizzare, il che non guasta nell’attuale fase di gravi difficoltà per l’industria del settore. Questo non è comunque il suo principale punto di forza. Ce ne sono almeno altri due, molto più rilevanti.

Il primo è a cavallo tra burocrazia, diplomazia e politica. Il nuovo gasdotto, inglobando il vecchio progetto Itgi Poseidon di Edison e Depa, godrebbe non solo di un risparmio economico (molto lavoro è stato già fatto e alcuni tratti sono addirittura già costruiti), ma potrebbe evitare una lunga serie di adempimenti, non facili da ottenere. Itgi Poseidon ha già tutte le autorizzazioni necessarie, persino per l’approdo sulle coste pugliesi, che ha fatto tanto penare Tap. Anche gli accordi intergovernativi in Italia, Grecia e Turchia sono fatti. E la Commissione europea ha dato il suo appoggio all’infrastruttura, sia pure in un contesto molto diverso, perché doveva servire ad attenuare la dipendenza dalla Russia.

Il secondo aspetto da considerare è che tutte le parti coinvolte avrebbero qualcosa da guadagnare. Mosca, perché anche con l’eventuale raddoppio di Nord Stream, verso la Germania, ha comunque bisogno di una rotta sud per il gas, in modo da difendere la presenza sul mercato europeo. La Tuchia, perché volente o nolente non può rinunciare al gas russo, che ora soddisfa il 60% del suo fabbisogno: i suoi consumi crescono vertiginosamente e non ci sono altri fornitori in grado di soddisfarli a breve. Anche per l’Italia e la Grecia sarebbe un’utopia pensare di affrancarsi dalle forniture di Mosca.

Il nostro Paese in particolare l’anno scorso (anche per motivi di convenienza economica) ha aumentato di oltre il 10% gli acquisti da Gazprom, importando dalla Russia oltre metà del gas: 24,4 miliardi di metri cubi, che ci sono arrivati tutti via Ucraina. Se un giorno fossimo costretti a farcelo inviare via Germania, ci costerebbe senz’altro di più. Sperare che ci salvi il Gnl, magari quello dagli Usa, è inutile: a parte l’inadeguatezza dei nostri rigassificatori, anche quel gas andrà dove spunta un prezzo più alto. Quanto ai fornitori nordafricani, far conto sulla Libia è un grande rischio, mentre i contratti con l’Algeria scadranno nel 2019 e potrebbero non venirci più garantiti i volumi di un tempo.

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