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Se il petrolio ignora il braccio di ferro tra Arabia Saudita e Iran

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analisi

Se il petrolio ignora il braccio di ferro tra Arabia Saudita e Iran

(Ansa/Ap)
(Ansa/Ap)

Arabia Saudita e Iran hanno alzato il livello della sfida sui mercati petroliferi. Ma a compensare gli effetti dell’escalation, impedendo (almeno per ora) un nuovo crollo del prezzo del barile, c’è una lunga serie di emergenze, che si sommano al declino di produzione indotto dal taglio degli investimenti. Il risultato è una sorta di tiro alla fune, che sul mercato si è tradotto in un’alta volatilità: Brent e Wti ieri hanno cancellato i ribassi di lunedì, chiudendo rispettivamente a 45,52 $ (+4,3%) e 44,66 $/barile (+2,8%).

A parte gli incendi in Canada, che hanno ridotto la produzione da oil sands di 1-1,6 milioni di barili al giorno, c’è una recrudescenza di attacchi terroristici in Nigeria, che ha fermato diversi impianti nel Delta del Niger: la Reuters calcola che la produzione del Paese africano sia crollata a 1,69 mbg in maggio, il minimo dal 2007 e vicino ai minimi da 22 anni. Intanto in Libia le estrazioni si sono ridotte a 200mila bg.

Sono queste emergenze probabilmente a sostenere il prezzo del barile, nonostante il braccio di ferro tra Arabia Saudita e Iran. Se Riyadh promette di aumentare l’output, Teheran l’ha già fatto, con una velocità oltre le attese: Morgan Stanley stima sia arrivata a 4,2 mbg, tra greggio e condensati, più di quanto non estraesse prima delle sanzioni. L’export è già raddoppiato superando 2 mbg grazie agli acquisti asiatici e anche in Europa, dove è prevalsa la cautela per la difficoltà ad assicurare i carichi, qualcosa si sta forse muovendo. L’Iran sostiene di avere siglato un accordo di fornitura con l’italiana Saras e di essere vicino a farlo anche con Eni. Sui prezzi è quasi imbattibile: anche per giugno ha tagliato i listini, mantenendoli sotto quelli sauditi.

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