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L’Opec vuol mettere un tetto alla produzione del petrolio

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oggi IL vertice dei produttori

L’Opec vuol mettere un tetto alla produzione del petrolio

  • –di Sissi Bellomo

È il silenzio assordante dei sauditi a colpire alla vigilia del vertice Opec. Il nuovo ministro Khalid Al-Falih, come era solito fare anche il suo predecessore Ali Al-Naimi, è stato tra i primi ad arrivare a Vienna. Ma da lunedì sera, quando è svicolato fuori dall’aeroporto usando un’uscita secondaria, non si è lasciato sfuggire una sola parola. Niente a che vedere col “vecchio” Naimi, che si compiaceva di lasciarsi inseguire dai giornalisti durante il jogging mattutino (divenuto con l’avanzare dell’età una passeggiata) per dispensare frasi sibilline, che avrebbero immancabilmente mosso il mercato del petrolio.

Eppure è Al-Falih la presenza chiave nella capitale austriaca. Non solo perché rappresenta il più potente tra i produttori di petrolio membri dell’Opec, ma anche perché dietro le quinte ha cominciato a muoversi in modo che potrebbe essere decisivo per riorientare le strategie dell’Organizzazione.

«Il Consiglio di cooperazione del Golfo sta cercando di coordinare un’azione al vertice», ha rivelato quella che la Reuters definisce una «fonte senior dell’Opec». Il gruppo - che riunisce l’Arabia Saudita e i suoi tradizionali alleati di ferro, Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi Uniti - vorrebbe riproporre un tetto di produzione, hanno in seguito confermato altre fonti.

Se davvero fosse così - e se la mozione riuscisse a passare all’unanimità, necessaria per ogni decisione dell’Opec - si tratterebbe di un esito sorprendente per un vertice che tutti consideravano destinato al massimo a partorire un accordo per il rinnovo del segretario generale: un problema peraltro tutt’altro che secondario, visto che è dal 2012 che non si riesce a trovare il consenso sulla sostituzione di Abdallah El Badri.

La reintroduzione di un tetto produttivo non è necessariamente un taglio, né un congelamento della produzione: l’Opec potrebbe limitarsi a recepire come “tetto” quello che sta attualmente estraendo, ossia 32,5 milioni di barili al giorno in maggio secondo le stime più recenti. Ma il mercato si è comunque eccitato all’idea, cancellando buona parte dei ribassi con cui il petrolio aveva avviato la giornata: il Brent ha poi chiuso a 49,72 dollari al barile (-0,34%).

Si tratterebbe in effetti di una svolta rilevante per l’Organizzazione, che all’ultimo vertice in dicembre non era riuscita a mettersi d’accordo su nulla e alla fine - in un clima di polemiche e recriminazioni - aveva buttato alle ortiche il concetto stesso di tetto produttivo, autorizzando chiunque a produrre ad libitum.

Grazie soprattutto alla risalita del petrolio verso 50 dollari al barile, questa volta a Vienna si respira un clima molto più sereno. Diversi ministri dell’Opec si sono detti incoraggiati dall’andamento del mercato, che ha finalmente iniziato a reagire alla “cura” imposta dai sauditi nel lontano novembre 2014: il crollo dei prezzi alla fine ha fermato lo sviluppo dell’offerta dei concorrenti. Da qualche mese, col contributo di diversi imprevisti, la produzione sta anzi addirittura calando. E la domanda petrolifera, grazie al mini-greggio, si mantiene decisamente robusta.

Anche il barile vale ancora la metà rispetto a due anni fa, persino i più fragili tra i Paesi dell’Opec si stanno aprendo alla speranza di essere vicini all’uscita dal tunnel. È il caso della Nigeria, avviata addirittura alla recessione economica dopo che gli attacchi terroristici dei sedicenti Delta Avengers hanno ridotto del 60% la sua produzione di greggio, ai minimi da 27 anni. «Non voglio sollevare troppe speranze e aspettative - ha detto il ministro nigeriano Emmanuel Ibe Kachikwu - ma le tendenze sul mercato ora sono migliorate. Il senso di urgenza che si avvertiva al vertice di Doha non è più lo stesso».

Un mese e mezzo fa nella capitale del Qatar l’Opec aveva provato senza successo a concordare con la Russia e altri Paesi non Opec un congelamento dei livelli di estrazione. Fu l’Arabia Saudita a far naufragare le trattative, ritirando l’appoggio al piano per la mancata adesione dell’Iran.

Teheran stessa, che rivendicava il diritto a recuperare la produzione perduta con le sanzioni, ora che ci è riuscita non vuole più sentir parlare di congelamento. Chissà se un tetto di produzione - anche solo collettivo - potrà ricevere il suo benestare, ora che i sauditi provano a ricucire.

L’iniziativa, secondo la Dow Jones, ha già trovato il consenso di Nigeria, Qatar, Algeria e Venezuela.

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