Igor Ivanovich Sechin, signore del petrolio, è una delle persone più influenti di Russia, uno dei collaboratori più vicini al presidente Vladimir Putin: al suo fianco fin dai tempi in cui entrambi erano nello staff del sindaco che trasformò Leningrado in Pietroburgo, Anatolij Sobchak. Oggi Sechin è al comando della prima compagnia petrolifera russa, Rosneft: alla vigilia del Forum economico di San Pietroburgo in cui l’Italia, ospite d'onore, segnerà una tappa importante nella storia delle sue relazioni con la Russia, anche il chief executive di Rosneft invita a un rilancio del legame tra la compagnia e il nostro Paese. In questa intervista al Sole-24 Ore, Sechin affronta le grandi sfide di questo momento, dal calo dei prezzi del petrolio al progetto di privatizzazione di una quota di Rosneft; dai legami tempestosi con l’Opec alle sanzioni americane ed europee che coinvolgono direttamente la sua compagnia. Fino a confidare un sogno, raccolto da Enrico Mattei: ritrovare una compagnia energetica italiana in un grande progetto estrattivo in Russia.
Igor Ivanovich, si avvicina il momento in cui l’Unione Europea prenderà una decisione sul prolungamento delle sanzioni nei confronti della Federazione Russa…
Noi lavoriamo nelle condizioni in cui vive il mercato. Posso darle la mia opinione sulle sanzioni dei nostri partner europei e americani. Le sanzioni danneggiano tutti i protagonisti dell’attività economica, che stanno al di fuori di ogni politica. L’estensione delle sanzioni al livello corporativo è infondata, illegale e, cosa più importante, viola le basi del diritto contrattuale. Noi non abbiamo alcun motivo di tensione con i nostri partner. Rosneft rispetta puntualmente i propri obblighi contrattuali e finanziari con i partner Ue, investe in asset che lavorano con successo in Europa, come nel settore petrolchimico in Germania e in Italia. È così che si creano le basi per la collaborazione, e aumenta la fiducia reciproca.
Il Forum economico di San Pietroburgo sarà particolarmente importante per l’Italia, e per le sue relazioni con la Russia. Che cosa si aspetta da questi tre giorni?
Alla base della nostra cooperazione c’è un lavoro sistematico, quotidiano. Il Forum è una buona strada per avvicinare determinati risultati. E un significato particolare lo darà la partecipazione del premier Matteo Renzi. Negli anni 60 il fondatore dell’Eni, Enrico Mattei, concluse con l’Urss un contratto di fornitura di petrolio a lungo termine, rompendo i dogmi della guerra fredda che, tra l’altro, presupponevano l’isolamento economico della Russia. Difendendo l’accordo firmato a Mosca, Mattei assicurò che «non avrebbe costituito un pericolo per l’Italia, al contrario avrebbe garantito petrolio al Paese, e dato lavoro agli italiani»; ed era sinceramente contento del fatto che «la lupa che nutrì Romolo e Remo finalmente si sarebbe imparentata con il famoso orso russo».
Così è proprio grazie al petrolio russo, al ponte energetico costruito dagli sforzi di Mattei e dei suoi partner sovietici che le relazioni tra Russia e Italia hanno avuto nel corso dei decenni una base solida. E naturalmente Rosneft mantiene la tradizione. La sua collaborazione con le imprese italiane è a tutto campo: dall’esplorazione alla produzione, dalla raffinazione alla logistica. Soltanto lo scorso anno noi abbiamo inviato ai porti italiani quasi 16 milioni di tonnellate di petrolio e derivati, per un valore complessivo di 5,7 miliardi di dollari.
E nondimeno, con il nostro partner italiano chiave - Eni - vorremmo ampliare la collaborazione lungo l’intera catena tecnologica: esplorazione geologica, estrazione, lavorazione, sviluppo tecnologico. Con Eni realizziamo progetti congiunti nelle piattaforme continentali. E non è escluso che con il tempo riusciremo a prendere parte alla realizzazione del sogno di Mattei - la partecipazione della compagnia italiana a un grande progetto produttivo in Russia.
Passiamo al vostro legame con Pirelli. Contate di restare investitori di lungo termine e azionisti nel gruppo italiano? E come valutate l’ingresso di ChemChina nel capitale?
In questo momento Rosneft è soddisfatta della propria posizione nel capitale azionario di Pirelli. Per quanto riguarda l’accordo con ChemChina, io lo definirei un esempio unico del nuovo business-pensiero euro-asiatico. In cooperazione con noi, la compagnia italiana non ha soltanto ristrutturato con successo il proprio indebitamento, ma ha anche ottenuto dalla Cina un investitore strategico, e prospettive di sviluppo assolutamente nuove. Pirelli ha dimostrato un approccio esemplare di minimizzazione dei rischi e di sfruttamento del potenziale sinergico euro-asiatico. Quanto è avvenuto è stato, di fatto, lo sbocco sui cruciali mercati dell’area Asia-Pacifico di moderne tecnologie europee supportate dal potenziale delle risorse russe e dalle disponibilità finanziarie della Cina. Ora l'approfondimento della partnership con Pirelli e ChemChina aprirà anche per Rosneft ulteriori occasioni di sviluppo, reciprocamente vantaggioso.
E per quanto riguarda Saras? In aprile il presidente Gian Marco Moratti ha detto che Rosneft non ha intenzione di cedere sul mercato ulteriori quote della società di raffinazione. Come giudica la vostra esperienza nel gruppo della famiglia Moratti, ora che Lei ha lasciato ad Andreij Shishkin il suo posto nel board?
Saras è un buon progetto, si è dimostrato redditizio per noi. Nelle fila di Rosneft c’è stata una ridistribuzione delle funzioni: come dirigente della compagnia devo concentrarmi sui progetti strategici, e Pirelli è tra questi, mentre Saras non ha bisogno delle stesse attenzioni. Qui si tratta soprattutto di controllare le spese operative, l’aumento della redditività. La strategia di sviluppo è definita dal principale azionista. Io ringrazio la famiglia Moratti per aver approvato il cambio con il vicepresidente per l’innovazione Andrej Shishkin, ex viceministro per l’Energia, grande conoscitore delle problematiche della petrolchimica. Noi siamo proprietari del 12% della compagnia, totalmente interessati al suo sviluppo; prenderemo iniziative dirette all’aumento della redditività di Saras. Se sono stato costretto a lasciare il consiglio direttivo, è a causa di un’agenda di lavoro serrata.
Per quanto riguarda Rosneft, qual è la sua opinione riguardo alla decisione di privatizzarne una quota? Ritiene che il momento possa essere favorevole o preferirebbe attendere uno scenario meno problematico di quello in cui vivono oggi l’economia russa e quella globale?
Tutte le questioni relative alla privatizzazione, incluse le dimensioni del pacchetto da privatizzare, le modalità, i tempi e i requisiti dei possibili investitori sono nelle mani del Governo. Compito centrale del management è il potenziamento del valore della compagnia per gli azionisti, il più importante dei quali è lo Stato. In questo modo, tra l’altro, si rende possibile la massimizzazione dei ricavi per lo Stato dalla possibile vendita di una parte della sua quota. Nello stesso tempo, considerando le condizioni sul mercato mondiale del petrolio e la presenza di sanzioni, difficilmente le attuali quotazioni della compagnia corrisponderanno al suo valore reale. E tuttavia, bisogna tenere in considerazione anche i problemi del budget. Noi riteniamo che nelle attuali, difficili condizioni sia sensato esaminare diverse varianti, tra queste la ricerca di investitori strategici. Ciò che renderà possibile una privatizzazione efficace è la stabilizzazione della congiuntura sui mercati, la rimozione delle sanzioni e l'attuazione di alcune misure di sostegno statale, dirette - per esempio - alla realizzazione di infrastrutture e al miglioramento del clima per gli investimenti. Ma la decisione finale spetta al Governo.
Lei ha dichiarato che il tempo dell’Opec è finito. Come prevede che si muoveranno i prezzi nel futuro? Esiste ancora la possibilità di un fronte comune tra produttori, nel caso di un nuovo crollo dei prezzi?
Per il 2016 gli analisti si aspettano un prezzo medio intorno ai 40-45 dollari il barile. La domanda di petrolio nel mondo continua a crescere, nel momento in cui la produzione è in calo: ci stiamo avvicinando a un periodo di aumento stabile dei prezzi, tale da assicurare la necessaria redditività degli investimenti in nuovi progetti. Dal punto di vista dei costi, l'estrazione di petrolio in Russia è una delle più efficienti al mondo (i costi operativi di Rosneft, per esempio, sono di 2,1 dollari al barile di petrolio equivalente). E grazie alla qualità della base di risorse, i progetti hanno una proiezione di lungo termine. Per questo una riduzione temporanea dei prezzi per noi non ha un impatto critico come, per esempio, per i progetti relativi allo shale oil. Questo fattore, unito all'assenza di alti livelli di indebitamento nel settore petrolifero, ci consente di mantenere stabilità lungo l’intero ciclo. La principale sfida esterna per il settore energetico russo sta nel rafforzamento della concorrenza sui mercati esteri. Abbiamo di fronte una dura competizione per il mantenimento delle quote sui mercati chiave tradizionali, e per potenziarle in quelli nuovi.
Si è discusso di congelamento della produzione come misura temporanea per moderare le oscillazioni eccessive dei prezzi. Ma bisogna notare che dal momento di massima caduta dei prezzi, nel gennaio 2016, il prezzo è cresciuto fino a raggiungere un certo equilibrio sui 50 dollari al barile. E questo è avvenuto senza alcun accordo, cosa che testimonia la fondamentale stabilità del mercato del petrolio. Che ha raggiunto un equilibrio più rapidamente di quanto si aspettassero gli analisti. E chissà, è possibile che tra 3-5 anni al mercato globale serva invece un altro tipo di intesa - un urgente potenziamento di produzione e fornitura che possa contrastare il disavanzo innescato da un periodo di riduzione degli investimenti.
In Europa ci lamentiamo per la dipendenza dall’energia russa, ma ci preoccupiamo subito quando Mosca volge lo sguardo sull’Asia….Il mercato cinese può diventare più importante per la Russia di quello europeo?
Per una serie di ragioni oggettive, il mercato europeo dell’energia resterà il principale mercato di sbocco per gli idrocarburi russi per decenni. È per un tempo così lungo che è stata costruita un’infrastruttura enorme, in termini di porti e di gasdotti. Basti dire che Rosneft occupa una posizione leader nel mercato del petrolio e derivati della Germania. E tuttavia ora i ritmi di crescita del mercato europeo rallentano, a differenza di quello asiatico in cui invece si nota una crescita intensa dei consumi. Inoltre le nuove risorse di gas e petrolio vengono estratte prevalentemente nell’Oriente russo. In questa situazione è del tutto logico che vengano indirizzate sul mercato più vicino e in più rapida crescita, l’Asia. Ma non ci si deve preoccupare per questo: nella struttura dell’export di Rosneft, le forniture alla Cina coprono il 13%. È una normale diversificazione dei mercati di sbocco.
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