Ore 5.45 del 24 giugno: la Gran Bretagna è fuori dall’Unione europea. Ci si è addormentati con la forte sensazione - corroborata dagli ultimi sondaggi delle 23 - di una vittoria del fronte del “Remain” e ci si è svegliati con oltre 800mila voti in più del fronte “Brexit” che a questo punto ha portato gli equilibri europei in un territorio inesplorato.
I mercati finanziari hanno subito reagito nella notte al cambiamento di rotta delle proiezioni sull’esito del referendum esasperando gli animi alle prime contrattazioni mattutine quando la sterlina è piombata sui livelli più bassi da 31 anni nei confronti del dollaro. Gli investitori hanno comprato soprattutto yen e dollari (beni rifugio per eccellenza) insieme all’oro e al Bund tedesco che si è riportato sottozero toccando il minimo storico a quota -0,2%.
Le vendite hanno preso di mira la sterlina ma anche l’euro, ed è per questo che alla fine la svalutazione della sterlina nei confronti dell’euro è molto più blanda rispetto a quella vista sul dollaro, con il cambio euro/sterlina tornato difatti sui livelli di febbraio 2016 quando l’ex sindaco di Londra Boris Johnson si è pubblicamente schierato a favore del Brexit.
Le Borse europee sono in forte ribasso. Piazza Affari a metà mattina cede l’11% dopo aver toccato un -14%. Il sottoindice delle banche italiane cede più oltre il 15%, in linea con quello delle banche europee.
Sta accadendo che in un batter d’occhio i mercati hanno riportato le quotazioni sui livelli precedenti all’omicidio della deputata laburista Joe Cox di giovedì 16 giugno, episodio che aveva innescato una forte propensione agli acquisti sugli asset rischiosi. Da allora (e prima di oggi) le banche italiane erano salite del 18%, Piazza Affari del 12% e via dicendo. Quel recupero sta sfumando in un solo boccone questa mattina.
Perché sono vendute le banche europee e italiane? Perché i mercati a questo punto si aspettano degli interventi espansivi da parte delle banche centrali (a partire dalla Bank of England che non a caso oggi ha annunciato l’emissione di 250 miliardi di sterline, e non sono da escludere mosse della Bce). Interventi che porteranno nuova liquidità che dovrebbe determinare un’ulteriore riduzione dei rendimenti e dei tassi di mercato. Uno scenario che rischia di mettere a dura prova i bilanci delle banche, che già stanno soffrendo molto in questa era di tassi molto molto bassi, quando non negativi. Quindi sta accadendo che i mercati si aspettano un sostegno delle banche centrali, ma questo sostegno potrebbe rivelarsi un boomerang per l’attività tradizionale delle banche private, letteralmente sommerse da una pioggia di liquidità in questa era dei tassi bassi.
Le banche inoltre vengono vendute perché in questo momento la Bce “protegge” i titoli di Stato dell’area euro (esclusi quella della Grecia che infatti oggi hanno visto balzare il rendimento biennale all’11%, 300 punti base in più di ieri). Quindi gli investitori che vogliono colpire un Paese dell’area, trovano più sfogo vendendo i titoli bancari. Un fenomeno che colpisce in particolare l’Italia le cui banche detengono oltre 400 miliardi di titoli di Stato italiani in portafoglio.
L’altro dato che balza agli onori della cronaca finanziaria odierna è il nuovo minimo storico del rendimento del Gilt decennale. I titoli di Stato inglesi oggi hanno toccato un nuovo minimo all’1,1%. Il rendimento è crollato, ciò significa che i titoli inglesi vengono fortemente acquistati (dato che il prezzo è inversamente proporzionale al rendimento) proprio nel giorno che ha decretato lo sganciamento della Gran Bretagna dell’Ue e nel giorno in cui Moody’s ha indicato che il rating sul debito del Regno Unito è in revisione per un possibile downgrade.
Come mai gli investitori si rifugiano (anche) nel Gilt proprio nel giorno del “Leave”?. La risposta più comune degli analisti è che tutto è riconducibile alle crescenti aspettative di un intervento della Bank of England che potrebbe tradursi in un nuovo piano di quantitative easing.
L’analisi fila ma si incrina nel momento in cui sono in molti a sostenere che il Brexit comporterà nei prossimi anni una crescita dell’inflazione nel Regno Unito (per via dell’aumento dei prezzi dei beni da importare con una valuta più debole). I tassi dei Gilt che toccano il minimo storico non sembrano credere al momento a questa prospettiva ijnflazionistica o, al momento, non hanno iniziato ad incorporarla nei rendimenti.
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