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Stati Uniti all’assalto dei mercati petroliferi: ormai esportano…

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Stati Uniti all’assalto dei mercati petroliferi: ormai esportano più del Qatar

Afp
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Le esportazioni di petrolio dagli Stati Uniti, fino a pochi mesi fa vietate dalla legge, hanno già raggiunto la bellezza di 662mila barili al giorno: una quantità superiore a quella venduta da molti Paesi Opec, tra cui non solo la Libia - che ha subito un crollo della produzione  a causa della guerra civile - ma anche l’Ecuador, il Qatar e persino l’Algeria.

Il dato sull’export di maggio, reso noto ieri dallo Us Census Bureau, è il più alto almeno dal 1920 e anche se Washington importa ancora quantità considerevoli di greggio (7,2 milioni di barili al giorno nello stesso mese) la sua economia ne sta già traendo un forte vantaggio.

Il deficit commerciale, per quanto riguarda l’import-export petrolifero, è sceso ad appena 2,9 miliardi di dollari in maggio: il minimo da 17 anni, evidenzia lo stesso Us Census Bureau, nonostante il prezzo del greggio importato abbia subito il maggior rincaro mensile dal 2011 (da 29,48 a 34,19 dollari al barile in media).

Complessivamente il deficit della bilancia commerciale a stelle e strisce è aumentato del 10% rispetto ad aprile, a 41,1 miliardi di dollari.

La rivoluzione dello shale oil, che ha indotto una crescita spettacolare della produzione di petrolio degli Usa, ha convinto nel dicembre scorso le autorità americane ad abrogare il divieto di esportazione del greggio, che resisteva da oltre quarant’anni (si veda il Sole 24 Ore del 17 dicembre 2015).

In reazione al crollo delle quotazioni del barile, gli Usa stanno oggi estraendo quasi un milione di barili al giorno in meno rispetto a un anno fa: il dato mensile più recente, riferito ad aprile, indica un output di 8,9 mbg. Prendendo quest’ultimo come riferimento, l’export rappresenta già oltre il 7% della produzione, una quota non indifferente considerate le difficili condizioni del mercato, divenuto supercompetitivo con il surplus di offerta, e lo sconto ridotto del Wti rispetto al Brent, che di certo non incentiva europei e asiatici a pagare gli alti costi di trasporto delle forniture Usa.

Nonostante tutto, la geografia degli acquirenti è sempre più diversificata. Dei 661.657 barili al giorno che hanno varcato i confini americani in maggio (+12% rispetto ad aprile, che era già da record) solo 307.849 sono andati in Canada, l’unico Paese che in passato acquistava greggio dagli Usa grazie a un regime di parziale deroga dal divieto. La quota di Ottawa era già scesa una prima volta sotto il 50% in marzo.

Gli Stati Uniti ormai riforniscono con frequenza anche numerosi Paesi europei, compresa l’Italia che in maggio ha ricevuto 22.980 barili al giorno, forse destinati come in precedenti occasioni alla raffineria Esso (ExxonMobil) di Augusta, in Sicilia. Nell’elenco più recente degli importatori figurano anche l’Olanda, importante hub petrolifero, con oltre 100mila bg, la Gran Bretagna e la Francia.

Tra le destinazioni asiatiche spicca invece il Giappone con quasi 30mila bg, mentre la Cina ne ha acquistati 16mila. Interessante anche il robusto flusso di esportazioni verso Curaçao (oltre 67mila bg in maggio), che era iniziato già nei mesi scorsi:  sull’isola caraibica, che fa parte delle Antille olandesi, c’è un terminal petrolifero che serve il Venezuela, che si trova proprio di fronte. Caracas, che ha bisogno di greggio leggero per diluire le sue qualità extrapesanti, potrebbe essere diventata un cliente assiduo degli Usa.

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