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Bond subordinati, il peso della volatilità

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L'Analisi|l’analisi

Bond subordinati, il peso della volatilità

I bond subordinati delle banche italiane, soprattutto quelle con problemi specifici di liquidità, crediti deteriorati e necessità imminente di aumento di capitale, a partire dalla fine del 2015 - dopo il caso delle “quattro piccole banche” salvate - hanno accusato una violenta volatilità, una illiquidità senza precedenti con volumi di scambi rarefatti e una netta tendenza di prezzi al ribasso e rendimenti al rialzo.

I subordinati di tutte le banche europee, a partire dal burden sharing fino al 31 dicembre 2015 e ora con il bail-in, hanno iniziato a viaggiare sugli stessi vagoncini delle azioni, sballottati tutti insieme sulle montagne russe in Borsa, ora per la fuga verso la qualità e l’avversione al rischio, ora per timori sulla crescita.

“I subordinati non sono strumenti identici alle azioni ma il mercato inizia a considerarli tali e quali, visto che con le nuove regole rischiano l’azzeramento del valore”

 

I subordinati non sono strumenti identici alle azioni ma il mercato inizia a considerarli tali e quali, visto che con le nuove regole rischiano l’azzeramento del valore, ora più che in passato.

I prestiti subordinati sono suddivisi in diverse categorie e gradazioni di rischio: lo strumento ibrido di patrimonializzazione Additional Tier 1 (AT1) per esempio si avvicina molto all'equity puro.

I subordinati concorrono tutti, chi più chi meno a rafforzare patrimonialmente le banche: i prezzi e i rendimenti dei bond Upper Tier 2 e Lower Tier 2 seguono però sempre più quelli delle azioni e anche per questo sono divenuti estremamente costosi.

Il rischio dell’applicazione rigida del bail-in, ammoniscono i credit trader, è subdolo: il premio a rischio richiesto dagli investitori istituzionali sui subordinati potrebbe in futuro lievitare al punto da rendere questi strumenti non convenienti rispetto alle azioni: verrebbe così azzerato, cancellato quel cuscinetto dei junior che è vitale tra senior bond ed equity sul quale si basa la ripartizione delle perdite nel bail-in.

Le bastonate più forti i subordinati le hanno prese a fine 2015, con le vendite del retail. Poi di nuovo lo scorso febbraio (le banche più deboli vanno male in Borsa quando la crescita rallenta o c'è il timore che rallenti). Dopo una lieve ripresa è arrivato lo scossone in giugno per Brexit, più contenuto del previsto.

Il sali e scendi è tornato con veemenza in questi giorni per le ansie legate allo stress test del 29 luglio: il “rischio normativo”è un tormentone in più per gli investitori e i market maker che devono dare un prezzo ai rischi di mercato: la quotazione degli strumenti AT1 di alcune banche italiane è calata anche oltre il 10% nel contesto di scivoloni del 6-8%, dicono fonti bene informate.

Alcuni bond subordinati hanno perso il 30% del loro valore, nei momenti peggiori.

Un esempio per tutti: il subordinato del Montepaschi scadenza settembre 2016 denominato in sterline ieri veniva quotato con un prezzo attorno a 70, equivalente a un rendimento su base annua oltre il 100%. Questo tuttavia non è dipeso da un’ondata di vendite.

Non ci sono stati disinvestimenti di massa: il mercato secondario dei subordinati, come quello dei titoli di Stato, è illiquido anche perchè i dealer hanno dovuto ridurre notevolmente le posizioni, per via della nuova normativa che ha compromesso la liquidità.

Dealer e trader non possono detenere tutti i titoli che vorrebbero sui libri perchè questo assorbirebbe troppo capitale, a volte hanno margini talmente ridotti da doversi concentrare sulla difesa dei propri bond. E in alcuni casi, non hanno capitale per fare neanche quello: non riescono a bloccare il circolo vizioso di prezzi che calano a picco senza trovare alcun supporto.

I volumi sui subordinati sono dunque molto rarefatti, la volatilità è elevata e i prezzi vengono dettati dal real money, gli investitori istituzionali che hanno le spalle più forti (la liquidità e le risorse) dei dealer.

Il danno che già c'è stato sui prezzi dei subordinati potrebbe aggravarsi ulteriormente se all'Italia non venisse concessa dalla Commissione europea la possibilità – prevista dalle regole della direttiva BRRD e dalle norme sugli aiuti di Stato in ambito bancario - di contribuire con un intervento pubblico (solo temporaneo, è l’interpretazione preferita dal mercato) alla ricapitalizzazione di un istituto bancario in bonis, con una carenza di capitale identificata dallo stress test (propedeutico all'indagine Srep – supervisory review and evaluation process della Bce) senza far scattare il burden sharing, ovvero, senza che ai detentori dei prestiti subordinati vengano attribuite perdite con la conversione dei bond in azioni oppure con una svalutazione ulteriore a quella del mercato.

Le banche italiane hanno 66 miliardi di prestiti subordinati, in essere, l'11% del totale delle obbligazioni bancarie in circolazione (dato Banca d'Italia aggiornato al febbraio 2016 ). Circa la metà è stata venduta alla clientela retail (29 miliardi statistiche Banca d'Italia aggiornate al terzo trimestre 2015).

Nell'ultimo rapporto sulla Stabilità Finanziaria, la Banca d'Italia rilevava come «le turbolenze sui mercati hanno causato un notevole rialzo dei rendimenti sulle obbligazioni subordinate, in parte rientrato nel mese di marzo. L'aumento, comune alle banche degli altri paesi europei, è stato significativamente maggiore per gli intermediari caratterizzati da un'elevata quota di crediti deteriorati».

Queste turbolenze non si placheranno fino a quando al mercato non sarà data la certezza che le regole sugli aiuti di Stato, in circostante straordinarie per salvaguardare la stabilità finanziaria, possono consentire un’iniezione di capitale dallo Stato per banche sottocapitalizzate senza che questo faccia scattare il bail-in sui subordinati assimilandoli fin troppo alle azioni.

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