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La battaglia delle piattaforme sull’«alta fedeltà»

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L'Analisi|L’ANALISI

La battaglia delle piattaforme sull’«alta fedeltà»

Gli editori della musica hanno imparato la lezione di internet. Non si combatte contro il proprio pubblico. Lo si asseconda. Dopo due decenni di decrescita, il mercato globale della musica è aumentato nel 2015. Grazie allo streaming. E non per niente le etichette sembrano meno schizzinose nel concedersi alle piattaforme e ai servizi online. Compresa, secondo ReCode, Amazon.
La musica è l’arte più intima, più sociale, più puramente emozionante. Costruisce il tono di un ambiente: compreso quell’iperspazio commerciale online nel quale si trova da comprare di tutto, chiamato Amazon. Mentre il mercato digerisce le indiscrezioni raccolte da ReCode sul possibile nuovo servizio streaming musicale di Amazon, l’interpretazione si concentra sulla grande battaglia delle piattaforme. Amazon, Apple, Facebook, Google, Microsoft sono i giganti che governano il tempo che uno-due miliardi di persone passano in rete. E il loro problema è come fare in modo che gli utenti restino fedelmente sulle loro piattaforme. La musica è parte della soluzione.

Come il cinema. «I film sono sempre stati una scusa per vendere popcorn» scherza Ted Hope, che guida la divisione cinematografica di Amazon. E Hope ha detto a Variety che il suo ceo Jeff Bezos a sua volta scherza sostenendo: «Facciamo film per vendere scarpe». Si potrebbe chiosare: Amazon vende musica per entrare nelle case con l’Echo, un altoparlante intelligente che trasmette musica, legge i libri, riporta le notizie, controlla il termostato e le tapparelle, risponde a domande e prende ordini a voce grazie alla sua intelligenza artificiale Alexa e alla connessione a internet via wifi: sicché la musica serve alla piattaforma di Amazon per conquistare un pezzetto dell’ambiente domestico del futuro.

Le piattaforme si combattono lo spazio occidentale, ciascuna espandendo ciò che sa fare meglio. Apple parte dall’iPhone - e dal Mac - e si sviluppa con le app e i suoi servizi, tipo appunto Music. Google parte dal suo governo dell’informazione in rete, si sviluppa con la posta e il software per telefoni intelligenti, arriva nelle case con il Nest e - in prospettiva - nelle strade con la sua auto. E a sua volta vende musica. Microsoft parte dai personal computer e si estende in tutte le direzioni, con un po’ di fatica. Facebook a sua volta parte dal suo grafo sociale, gestisce le comunicazioni e si allarga nelle applicazioni e nell’innovazione più sperimentale della realtà virtuale. Amazon, lo sappiamo, parte dal commercio e arriva all’economia passando per tutto ciò che può far piacere al pubblico. Tutte le piattaforme cercano di conservare un’identità e di allargarsi molto oltre i loro punti di partenza, contando su un mix di software e hardware. E in prospettiva cercano di fare un fatturato ricorrente con un gigantesco numero di utenti. Facebook fa circa quattro dollari di fatturato per utente al trimestre. Apple fa almeno mezzo dollaro di fatturato al giorno per utente, se è vero che ha circa un miliardo di utenti, secondo l’analista Horace Dediu. Google e Microsoft si sviluppano in questa stessa prospettiva: conquistare un miliardo e più di clienti, fidelizzarli in tutti i modi possibili e valorizzarli. Un poco alla volta.

La musica è perfetta per accompagnare questo sviluppo. E, ha motivo di concedersi. Dei 15 miliardi di fatturato globale nel 2015, la fetta più grossa è arrivata da internet che, per la prima volta, ha superato i dischi. E lo streaming è aumentato del 45% determinando una crescita dell’industria dopo due decenni quasi ininterrotti di riduzione, dice Ifpi Global Music Report 2016. Ci può stare anche Amazon, dunque.

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