Dopo due anni di crollo del petrolio ExxonMobil è l’unica compagnia che non abbia svalutato alcun asset. L’omissione, già da tempo un rompicapo per gli analisti, è adesso oggetto di indagine anche per la magistratura. Ad occuparsene, secondo indiscrezioni raccolte dal Wall Street Jornal, sarebbe il procuratore generale di New York Eric Schneiderman, lo stesso che aveva già messo nel mirino il colosso petrolifero americano per il presunto occultamento dei rischi climatici legati ai combustibili fossili (si veda il Sole 24 Ore del 6 novembre 2015).
Il dossier a carico di Exxon si è ingrossato col passare dei mesi e l’inchiesta, cui si sono associati procuratori di altri stati, ora riguarda anche temi che non hanno nulla a che vedere con l’ambiente. Il filo rosso che tiene insieme tutto è la tutela degli investitori, che secondo l’ipotesi dei magistrati potrebbero essere stati ingannati in vari modi: celare o minimizzare i rischi legati al climate change non è solo un problema etico, ma significa anche non dare conto della potenziale perdita di valore degli idrocarburi in un mondo a minore intensità di Co2. E non svalutare i giacimenti - col prezzo del petrolio più che dimezzato dal 2014 e poche chances di risalita a breve - potrebbe non essere un comportamento corretto.
Alle indiscrezioni di stampa Exxon si è limitata a ripondere di aver sempre agito secondo le regole. Ma il suo è davvero un caso isolato: dall’estate 2014, quando il prezzo del petrolio ha cominciato a scivolare, ci sono state svalutazioni per oltre 200 miliardi di dollari nel settore, stima Rystad Energy. Di circa un quarto della cifra sono responsabili i maggiori concorrenti di Exxon: Bp, Chevron, Royal Dutch Shell e Total.
Tra le maggiori 40 compagnie quotate al mondo, secondo S&P Global Market Intelligence, negli ultimi dieci anni soltanto Exxon ha sempre evitato write-down: un’astensione che ha contribuito a difendere il suo bilancio e la performance in borsa. Da metà 2014 la compagnia ha perso il 17% a Wall Street, contro un ribasso del 32% per l’S&P Energy Index.
Il colosso petrolifero americano si è trovato più volte a difendere la scelta di non svalutare. Anche la Sec nel 2013 l’aveva interpellata in proposito, in relazione a giacimenti di shale gas che, per ammissione dello stesso ceo Rex Tillerson, non rendevano nulla dopo il crollo dei prezzi del gas al Nymex.
La linea di Exxon è sempre stata la stessa: la compagnia impiega criteri estremamente prudenti nel valutare la potenziale redditività dei suoi giacimenti. E questo le consente di non rettificarne il valore ad ogni variazione dei prezzi di mercato. La comagnia, afferma la sintesi del bilancio 2015 depositato alla Sec, «non considera una temporanea debolezza dei prezzi o dei margini come evento scatenante» per riconsiderare il valore degli asset. E ancora: «I mercati del greggio, del gas naturale e dei prodotti petroliferi hanno storicamente una significativa volatilità dei prezzi. Benché occasionalmente i prezzi possano scendere in modo significativo, nel lungo termine i prezzi industriali continueranno a essere guidati da offerta e domanda».
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