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Formula greca per la ricapitalizzazione di Mps

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Formula greca per la ricapitalizzazione di Mps

Il piano per ripatrimonializzare Mps prende sempre più la forma di un salvataggio alla “greca”. Sperando nel lieto fine, come è stato per alcune delle quattro banche elleniche che lo scorso anno, pressate dalla Bce, hanno dovuto fronteggiare la necessità di raccogliere mezzi freschi per 14,4 miliardi di euro in condizioni proibitive. Eurobank e Alpha Bank sono riuscite a soddisfare le richieste della banca centrale europea attingendo interamente dal mercato.

Le altre due, National Bank of Greece e Piraeus, sono riuscite invece solo parzialmente nell'intento, ricorrendo, per compensare, all'Hellenic financial stability fund, entità legale privata (fuori cioè dal perimetro pubblico) fondata nel 2010 allo scopo di fornire un contributo alla stabilità del sistema bancario nell'interesse pubblico.

Lo schema su cui si sta ragionando - secondo quanto risulta a Il Sole-24Ore - ricalca appunto il modello delle banche greche che sono riuscite a centrare l'obiettivo. Guarda caso, a strutturare tutta l'operazione per la terza banca di Atene - Eurobank, che è riuscita a portare a casa più di 2 miliardi da investitori istituzionali privati, long term only e hedge fund prevalentemente Usa - ha lavorato proprio il team di Mediobanca che affianca JP Morgan alla guida del pre-consorzio Mps.

Il caso di Eurobank, in particolare, è esemplare. Il consorzio per l’aumento di capitale, in qualità di global coordinator, era guidato da Bank of America-Merrill Lynch (la banca d’affari da cui proviene il neo-ad di Mps Marco Morelli), Hsbc e Mediobanca. La ricapitalizzazione è stata gestita come un private placement presso investitori istituzionali, raccogliendo, prima del lancio dell’offerta, l’impegno a sottoscrivere 453 milioni di euro da un gruppo ristretto di

investitori. L’80% dei capitali richiesti è arrivato dal collocamento azionario, il 20% da uno swap volontario bond-azioni (liability management exercise), operazione per la quale la stessa Mediobanca ha svolto il ruolo di advisor strategico e lead manager. Se ci è riuscita una banca greca all’interno di un problema sistemico e con alle spalle un Paese alle corde, la “mission impossible” potrebbe riuscire anche a Mps: questa la logica.

Il primo step per l’istituto senese è la definizione del prezzo per la cessione di oltre 27 miliardi di sofferenze, base su cui poggia l’intera impalcatura dell’operazione di ristrutturazione. Il piano presentato a fine luglio dall’ad recentemente dimessosi, Fabrizio Viola, ipotizzava un valore di cessione dell’ordine del 33%, soggetto però all’esito di una due diligence ancora in corso (se le risultanze fossero di molto inferiori, le esigenze di ripatrimonializzazione dovrebbero essere riconsiderate verso l’alto). Per avviare concretamente l’aumento di capitale occorrerà avere a disposizione il bilancio 2016 e un piano industriale, dal momento che, come è stato nel caso della banca ellenica sopra citata, viene ritenuto inevitabile ricorrere alla formula dell’esclusione del diritto d’opzione, trasformando in sostanza l’offerta in una sorta di Ipo.

LA RICAPITALIZZAZIONE DI MPS
I trimestre 2016. Dati in miliardi (Fonte: Mps)

Un “sondaggio” condotto dall’agenzia Reuters ha evidenziato la riluttanza degli investitori istituzionali a sostenere la terza ricapitalizzazione dell’istituto in tre anni, alla luce della mole di crediti deteriorati che pesa nei conti Mps per qualcosa come 45 miliardi. In queste condizioni le banche del consorzio, soprattuto quelle internazionali, non paiono disposte - secondo quanto riferiscono fonti del settore - ad assumersi il rischio di gantire al “buio” l’aumento: il collocamento privato permetterebbe appunto di limitare i rischi.

Ma per limitare anche l’importo occorre che vada in porto la conversione “volontaria” in azioni dei bond subordinati, che complessivamente ammontano a 5 miliardi. Come convincere i bondholder ad accettare la conversione è ancora allo studio, ma - come riferito ieri da «Il Sole-24Ore» - l’ipotesi è quella di introdurre un quorum di adesione al di sotto del quale la conversione sarebbe automatica e a condizioni - si suppone - più penalizzanti (è il modo con cui sono andate in porto. per esempio, alcune operazioni di conversione delle azioni di risparmio).

A logica, l’ultimo tassello dovrebbe essere quello di trovare l’anchor investor (o gli anchor investor), disposti a mettere sul piatto una cifra rotonda per scomettere ancora sul futuro della più antica banca d’Europa. Sarebbero limitate le chanche di entrare in partita per Corrado Passera, sebbene da fonti settoriali risulti che l’ex ministro ed ex banchiere di Intesa avrebbe raccolto, sulla sua proposta, l’interesse di almeno due grandi fondi Usa, specializzati in situazioni di questo genere.

IL TAVOLO DEL CONSIGLIO

Dopo una seduta in altalena, il titolo Mps ha chiuso in Borsa poco variato (- 0,54% a 0,2228 euro). La Fondazione Mps, una volta maggioritaria nella banca, ha espresso «rammarico» per la decisione del presidente Massimo Tononi di rassegnare le proprie dimissioni a valere dalla data della prossima assemblea, auspicando per la sua sostituzione «l’individuazione tempestiva di una figura di alto profilo, a seguito di un percorso di selezione ampiamente condiviso fra gli azionisti della banca». Fino a marzo del prossimo anno il patto tra la Fondazione e i soci sudamericani - Fintech (scesa al 2,24%) e Btg Pactual (che ha però pressochè che azzerato la sua quota) - in teoria sarebbe ancora valido per la nomina del prossimo presidente. Da parte sua, accomiatandosi dai dipendenti, Viola ha ringraziato tutti per il percorso che ha «portato ad avere oggi una banca solida e in utile, libera da pesi, pronta a vivere il suo futuro», dicendosi certo che «la prossima meta è vicina e tutto concorre al suo raggiungimento».

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