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Banche centrali, tutti gli strumenti in campo

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pro e contro

Banche centrali, tutti gli strumenti in campo

Haruhiko Kuroda, Governatore della Banca Centrale giappnese - Reuters
Haruhiko Kuroda, Governatore della Banca Centrale giappnese - Reuters

«Non esistono limiti alla politica monetaria accomodante e ai suoi strumenti non convenzionali: il solo steccato è il divieto dettato dalla legge, che proibisce la monetizzazione dei deficit fiscali e il finanziamento diretto degli Stati». La pensa così Haruhiko Kuroda - gli piace sorprendere i mercati - governatore della BoJ, la banca centrale giapponese che più di ogni altra sperimenta innovazioni sul QQE (quantitative e qualitative easing) abbinato ai tassi negativi dal gennaio di quest’anno. Kuroda riconosce però che sta al banchiere centrale autolimitarsi, nel valutare i costi e benefici di ogni strumento e intervento.

E infatti i banchieri centrali da un lato e sempre più i mercati dall’altro lato, tutti si stanno interrogando sull’efficacia delle misure non convenzionali. Sotto scrutinio i pro e i contro di politiche straordinarie mirate a riportare l’inflazione attorno al 2%, un target non ancora raggiunto dopo svariati anni di interventi e con iniezioni di liquidità che hanno portato il bilancio delle principali banche centrali a quota 18mila miliardi di dollari di assets . Che il campo di azione delle banche centrali sia illimitato lo si capiva ieri sera: le aspettative sulle mosse oggi della Federal Reserve e soprattutto della Banca del Giappone spaziavano dal nulla di fatto, a più QE, al tapering.

Il solo acquisto di titoli di Stato, la forma più scontata di QE, ha molte sfumature. L’impatto sulla curva dei rendimenti cambia, e molto, in base alla vita media dei titoli acquistati: dai 2 ai 30 anni per la Bce (se decidesse di andare oltre i 30 anni farebbe decollare i titoli di Stato a 50 anni e più), dai 7 ai 12 per la BoJ. Basta modificare queste durate per dare più o meno vigore al calo dei rendimenti lungo la curva: il taglio al costo del rifinanziamento del debito pubblico può però portare a un effetto indesiderato, l’allentamento eccessivo del rigore fiscale, come sta accadendo in Giappone dove la piena occupazione è abbinata alla bassa crescita.

Anche l’importo dei titoli acquistati è una leva che va manovrata con cura, perchè i mercati fanno calcoli e proiezioni: continuando al passo di 80.000 miliardi di yen l’anno di acquisti (pari al doppio del deficit), la BoJ che ora possiede il 40% dei titoli di Stato giapponesi, per il 2023 ne potrebbe detenere il 100%. Anche la Bce ha problemi con la scarsità dei titoli di stato tedeschi. Il mercato questo lo sa, lo prevede, e specula spinge ndo al rialzo i prezzi e al ribasso i rendimenti e contando sugli acquisti certi e a qualsiasi prezzo della banca centrale. La Bce, per allentare questo tipo di tensioni, non acquista i titoli con rendimento sotto le deposit facilities (-0.40%) mentre la BoJ questo limite non se l’è posto (almeno fino a ieri) pur avendo un tasso negativo a meno 0,10%. La Banca centrale giapponese può almeno introdurre una forchetta sull’ importo acquistato annualmente, per esempio passare da 80’ a 70- 90 o 60-100 mila miliardi di yen, secondo BNP Paribas. Un’altra opzione è il twist made-in-Usa: vendite di titoli a breve termine e acquisto di bond a lungo.

I tassi negativi hanno una lunga lista di pro e di contro: accelerano la riduzione del costo del denaro per imprese e famiglie ma restringono i margini e quindi i profitti all’attività bancaria tradizionale, con il pericolo di ridurre e non aumentare il credito all’economia. Inoltre il risparmio è poco remunerato, dunque peggiora il sentiment del consumatore. Stando agli economisti del Crédit Agricole, il crollo abnorme dei rendimenti è addirittura deflattivo in Paesi dove dominano i pensionati e dunque l’invecchiamento della popolazione (Giappone ed Europa).

Altre misure non convenzionali della BoJ si sono spinte fino agli acquisti di Etf e Reits, con il rischio di avere un impatto distorsivo sui prezzi del mercato azionario e immobiliare. In quanto all’acquisto di corporate bond, così si agisce direttamente sul costo della raccolta delle aziende: ma il mercato delle obbligazioni societarie (come le cartolarizzazioni e i covered bond) non ha la massa dei titoli di Stato: quello giapponese ammonta a circa 60mila miliardi.

Un altro limite che le banche centrali alle prese con un’inflazione lontana dal target del 2% non intendono porsi, ma che invece il mercato reclama, è dato dalla via di uscita dal QE. La BoJ avrebbe perdite colossali in bilancio nel momento in cui decidesse di alzare i tassi d’interesse (percorso avviato in punta di piedi dalla Fed), e questo perchè ha acquistato dalle banche un volume enorme di titoli di Stato a prezzi molto elevati. Nel caso di rialzo dei tassi guida, la BoJ non potrebbe neppure rivendere i titoli in portafoglio: quel tipo di tapering, stando al mercato, è già a costi proibitivi.

Il tapering può allora prendere un’altra forma: modificare il target dell’inflazione. La Bce su questo fronte si tiene sul vago, un obiettivo di inflazione vicina ma sotto il 2% senza stabilire con esattezza in quanto tempo questo traguardo va raggiunto. Nell’aprile 2013 Kuroda invece ha iniziato il QQE prefissando come target un’inflazione al 2% entro due anni tramite il raddoppio del bilancio della BoJ: sono trascorsi più di treanni e nonostante il bilancio sia aumentato di 2,7 volte l’inflazione è negativa (il mercato vede il Giappone ancora in deflazione mentre Kuroda sostiene diversamente citando l’indice positivo dei prezzi esclusi i beni alimentari ed energetici). Una forma di tapering per la BoJ potrebbe essere un target dell’inflazione ridotto dal 2% all’1%, oppure più tempo per tornare al 2%.

Per velocizzare e potenziare l’arsenale degli strumenti a disposizione, i banchieri centrali potrebbero usare come strumento di vera ultima istanza il cosiddetto “helicopter money”, che mette le banconote direttamente nelle tasche dei cittadini o nelle casse dello Stato. Ma per la BoJ il limite è dato dalla legge che espressamente vieta alla banca centrale di finanziare direttamente lo Stato. La BoJ comunque detiene circa il 40% dei titoli di Stato in circolazione, e annualmente ha sottoscritto il doppio dei bond emessi dallo Stato per finanziare il deficit (quest’ultimo a 40mila miliardi di yen). Per Chen Zhao, chief economist di Legg Mason, la BoJ può fare quel che vuole ma non riuscirà a riportare l’inflazione al 2% su una base sostenibile, perchè “lo stato naturale dell’economia in Giappone è quello di una mite deflazione”.

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