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Chi dà il bollino ai green bond

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Chi dà il bollino ai green bond

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Chi è green emetta il primo bond. Ce ne erano già 600 in circolazione fino al luglio scorso per un controvalore di 130 miliardi di dollari. I bond «verdi» sono obbligazioni destinate a progetti che rispettano l’ambiente e rappresentano lo 0,15% del mercato obbligazionario internazionale, secondo i dati Bloomberg elaborati dal Blackrock Investment Institute (Bii). Bii stima emissioni per ulteriori 50 miliardi di dollari nella seconda parte del 2016. Green bond sono stati emessi in 24 Paesi e in 23 valute diverse. Una buona fetta sono obbligazioni tripla A e due agenzie di rating del calibro di S&P e Moody’s stanno studiando metodologie di rating ad hoc. Oltre ai titoli emessi da Stati, i settori che hanno fatto più emissioni sono quello energetico (con destinazione rinnovabili), finanziario e utility

Peccato che al grande interesse mostrato dal mercato per tali strumenti finanziari, non faccia da contraltare uno standard comune che stabilisca chi è green e chi no. O meglio uno standard c’è ma il rispetto di tali parametri è su base volontaria. Sono i «Green Bond Principles» elaborati dall’associazione internazionale Icma (International capital market association, 500 membri in 60 Paesi). Sono quattro principi, rivisitati nel giugno di quest’anno, che si possono approfondire sul sito www.icmagroup.org. E sono relativi a: 1) l’impiego dei proventi; 2) il procedimento di valutazione e selezione dei progetti; 3) la gestione dei proventi; 4) il reporting. Per ciascuna di tali aree, Icma indica le migliori procedure da seguire.

Per esempio, a proposito dell’uso dei proventi, Icma chiede di specificare quanto dell’incasso viene usato per il finanziamento di nuove iniziative e quanto per rifinanziare vecchi progetti già in essere. Tali progetti devono essere chiaramente identificati. Inoltre, sul versante gestione (punto 3) è necessario collocare i proventi da green bond in una posta specifica del bilancio (sub-account) con un auditor o «terza parte» che ne verifichi la gestione e l’effettiva allocazione. Inoltre Icma chiede agli emittenti, sempre su base volontaria, di compilare un template, una scheda-modello in cui bisogna inserire una serie di informazioni sullo strumento finanziario emesso. Le informazioni, omogenee, affluiranno in un database che consentirà più trasparenza e chiarezza sul mondo dei green bond.

Il riscaldamento globale è l’argomento che tiene banco su tutti i giornali. La preoccupazione sul clima è tale che, secondo quanto pubblicato dal quotidiano inglese Guardian, il Pentagono sta elaborando negli States possibili scenari catastrofici per mettere in sicurezza soprattutto le basi navali della Virginia. Si è dunque passati dalle ricerche degli studiosi agli effetti concreti di un aumento della temperatura del pianeta. Grazie a tale attenzione, il climate change è diventato il principale volano per i temi della sostenibilità. L’ambiente che prevale quindi sugli altri due punti forti della finanza etica (sociale e governance).

«Ci sono due elementi da sottolineare – fa notare Federico Pezzolato, senior csr auditor e consultant di Vigeo, agenzia di rating etico –. Il primo riguarda l’emittente dei green bond che in genere si rivolge a una terza parte per avere un parere indipendente, una sorta di “certificazione” dell’intera operazione. Quindi sono difficili le iniziative di greenwashing in tale ambito. Ne va della reputazione di chi certifica l’operazione». Il secondo elemento che Pezzolato sottolinea è relativo all’attenzione di Icma sull’ambiente. «Nel template Icma, il focus è sul tema ambiente – ricorda il consulente –. Ciò però limita l’intera tematica sociale e in particolare dei diritti umani a cui noi di Vigeo diamo invece molta enfasi. E che, integrando il modello Icma, continueremo a fornire ai nostri clienti».

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