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Un rally con motivi deboli e rischi più elevati

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l’analisi

Un rally con motivi deboli e rischi più elevati

A giudicare dalla reazione delle Borse di ieri, si direbbe che la Fed americana e la Bank of Japan siano state accolte dai mercati finanziari come Babbo Natale fuori stagione. È vero che le banche centrali hanno offerto qualche piccolo regalo inaspettato agli investitori. Ma questo basta per generare tale entusiasmo?

E soprattutto: questo basta per lanciare i listini in una nuova fase di rinnovato ottimismo? È possibile che la risposta a entrambe le domande debba essere negativa. Il balzo in avanti potrebbe durare ancora qualche settimana (come credono alcuni gestori) o avere fiato davvero corto (come pensano altri), ma in ogni caso in pochi sono pronti a scommettere che il trend rialzista sia destinato a durare davvero. O che sia strutturale. Perché i motivi su cui il rally delle Borse si poggia sono deboli. Troppo deboli. E perché i rischi che la festa finisca sono ben più forti.

Le ragioni del rally

Ieri le Borse hanno corso e tutti i titoli rischiosi hanno registrato flussi in acquisto (a partire dai bond ad alto rendimento) perché le banche centrali sono state più accomodanti del previsto. La Fed, pur annunciando una probabile «stretta» monetaria a dicembre, ha detto chiaramente che in futuro i tassi d’interesse saliranno molto lentamente. Questo rassicura gli investitori. Li culla, come una ninna nanna. Dal canto suo la Bank of Japan, oltre a favorire un rialzo dei rendimenti decennali (per aiutare le banche), ha anche comunicato che tollererà in futuro un’inflazione superiore al 2%. Anche questa è una ninna nanna per i mercati: significa infatti - secondo la lettura data da Luca Mezzomo, economista di Intesa Sanpaolo - che anche nell’eventualità ipotetica che il caro-vita si dovesse impennare, la Bank of Japan potrà continuare la sua politica accomodante senza dover per forza alzare i tassi.

Questo ha certamente tranquillizzato i mercati: gli investitori hanno infatti capito che le banche centrali nei prossimi anni saranno ancora dalla loro parte. E hanno compreso che, guardando al breve periodo, li lasceranno in pace almeno fino a dicembre. Ma da qui a volare in un rinnovato ottimismo, ce ne passa. Infatti il rally di ieri è stato favorito anche da altri fattori, più specifici e contingenti. Il primo è il petrolio, il cui rialzo è solo in parte dovuto alla Fed, che ha fatto schizzare al rialzo le società del settore. Il secondo è legato al comparto bancario: il fatto che la Bank of Japan abbia rimodulato la sua politica monetaria per penalizzare meno le banche, ha fatto sperare che qualcosa di simile possa accadere prima o poi anche in altre parti del mondo.

Tutto questo ha creato l’humus adatto per il vero motivo per cui ieri le Borse sono salite così di scatto: le ricoperture di tante posizioni “ribassiste”. Prendiamo ad esempio la Borsa di Milano per capire: secondo un’analisi di Intermonte, negli ultimi 6 mesi le cosiddette posizioni “corte” (cioè ribassiste) sono notevolmente aumentate. Il 31% di queste si concentra sulle banche. Ebbene: di fronte a un rimbalzo generalizzato, giustificato o eccessivo che sia, chi era proiettato al ribasso ha aggiustato le posizioni al rialzo. Ecco perché ieri le Borse erano così esuberanti: per motivi più opportunistici che reali. Ed ecco perché l’eccitazione potrebbe durare poco: perché ha i piedi d’argilla.

I rischi futuri

Se le motivazioni del rally non sono così solide, i rischi sono invece ben più concreti. Il posto dove si concentrano maggiormente è la Borsa americana: Wall Street dal 2009 è salita del 170% e si trova sui massimi storici, ma le aziende quotate registrano utili in calo da sei trimestri consecutivi. Lo sfasamento tra la Borsa e la realtà è insomma enorme: prima o poi dovrà pur essere colmato. Con un rapporto tra prezzo e utili a 18,70 - osserva Monica Defend, Head of Global Asset Allocation Research di Pioneer Investments - Wall Street è dunque cara. E rischia di soffrire per i margini sempre più compressi e per il potenziale rialzo dei tassi. Le aziende Usa sono infatti oberate di debiti: anni di denaro facile hanno portato l’indebitamento ad essere 2,4 volte maggiore degli utili - secondo una stima di Morgan Stanley - tornando oltre i livelli del 2008. Insomma: Wall Street è una Borsa cara, con aziende che producono sempre meno profitti e sempre più debiti. Basta una Fed in futuro un po’ meno aggressiva (ammesso che in precedenza lo sia stata di più) per annullare questo rischio?

C’è poi una grossa incertezza politica all’orizzonte: non solo le elezioni Usa, ma anche il referendum in Italia e le elezioni in Austria, Francia e Germania. Tutto questo rappresenta un freno all’unica leva che davvero potrebbe aiutare l’Europa e il mondo intero a uscire dalla stagnazione: una politica fiscale più espansiva. Per non parlare delle fragilità dei Paesi emergenti. O dell’incapacità delle banche centrali di raggiungere i loro obiettivi. O del rallentamento economico globale. Insomma: l’incertezza all’orizzonte è elevata. Babbo Natale dura un giorno, poi potrebbe tornare l’inverno.

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