Ieri è mancato il test del mercato, con la Borsa di Francoforte chiusa, sui destini di Deutsche Bank. Un segnale, per quello che vale, è però arrivato da Wall Street dove il titolo, quotato anche lì, perdeva nel tardo pomeriggio il 2,3%. Poca cosa dopo lo scivolone pesante e le risalite violente della scorsa settimana, sull’onda prima della maxi-multa da 14 miliardi del Dipartimento di gisutizia Usa, poi mitigata dalle indiscrezioni su un taglio consistente della sanzione a poco più di 5 miliardi. È certo che i vertici di Deutsche stanno trattando con gli Usa per alleggerire il più possibile la maxi-multa. E, come ricordano molti analisti, in tutti i frangenti simili che hanno coinvolto i big Usa e anche altri colossi europei un accordo a rendere più miti le richieste iniziali è sempre stato trovato.
Che venga ridimensionata o meno resta l’ennesima tegola sul colosso tedesco. Basti ricordare che questa sanzione non è che l’ultima di una lunga serie per gli illeciti e le condotte fraudolente della banca tedesca e che sono costate, secondo le elaborazioni di CapitalIq, la bellezza di 13 miliardi di euro dallo scoppio della crisi a fine 2015. È il prezzo salato che ha affossato, insieme alla svalutazione di asset e avviamenti (costati altri 7 miliardi di perdite) la profittabilità del gigante dai piedi d’argilla. Quegli utili (dal picco dei 4 miliardi del 2011) si sono via via assottigliati fino a culminare con il maxi-buco da 6,8 miliardi del 2015. E multa o non multa il consenso degli analisti stima che Deutsche andrà ancora in perdita annche quest’anno con un dato medio di previsione di un rosso di 1,3 miliardi.
Sarebbe la seconda perdita consecutiva. Tutto sta a vedere come reagiranno i vertici di Deutsche Bank per evitare un secondo choc sui conti. Ieri trapelavano indiscrezioni da parte di Bloomberg su un taglio di mille dipendenti nelle filiali in Germania. E che al di là degli inciampi legali e giudiziari e delle relative perdite, pesi ormai una struttura di costi di difficile sostenibilità è chiaro a tutti. Basti pensare che il cosiddetto cost/income (il rapporto tra costi e ricavi) di Deutsche viaggiava a fine 2015 all’80%, un livello non certo in linea con la media europea. E sono bastati solo i primi sei mesi del 2016 per vedere quel rapporto salire pericolosamente al 90%. Cosa è accaduto per vedere salire così repentinamente quel rapporto già fuori linea? Semplice: è successo che la banca ha visto un forte calo dei ricavi. Negli ultimi 12 mesi infatti, documenta la semestrale di giugno, i ricavi della banca sono scesi di un abbondante 21 per cento. Un quinto in meno in un solo anno. Questa oggi è un’altra grana che pesa: in un contesto di una nuova sanzione (pesante o leggera che sia), Deutsche viene colta in una fase difficile della sua attività con i ricavi in fortissima flessione.
Finora la banca aveva tenuto duro su questo fronte e il grosso delle perdite veniva non da un calo dei ricavi ma dagli oneri straordinari (multe e svalutazioni). Ora ci si mette anche l’attività a frenare. Un contesto che rende plausibili tutti i dubbi del mercato, non solo su quella redditività ora negativa, ma sulla tenuta patrimoniale della banca. Che ci si interroghi su un nuovo aumento di capitale (il quarto dallo scoppio della crisi) è fuor di dubbio. Resta da capire non solo l’entità del nuovo fabbisogno, ma soprattutto chi e come avrà voglia di sottoscriverlo. Chi l’ha fatto finora (i fondi arabi soprattutto e grandi investitori istituzionali) porta a casa pesanti minusvalenze con il titolo precipitato in borsa negli ultimi anni e con un valore di mercato delle sue azioni che valorizza la banca solo il 25% del suo capitale.
© Riproduzione riservata