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Obstfeld (Fmi): all’Italia servono riforme strutturali

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l’INTERVISTA

Obstfeld (Fmi): all’Italia servono riforme strutturali

Maurice Obstfeld (Afp)
Maurice Obstfeld (Afp)

Il capo economista del Fondo monetario internazionale, Maurice Obstfeld, è convinto che all'Italia non basti conquistare un po' di flessibilità nelle regole europee sulla politica di bilancio, ma che per far ripartire la crescita abbia bisogno di percorrere la strada maestra delle riforme strutturali. Dopo il Jobs Act, «bisogna fare di più», afferma in un'intervista al Sole 24 Ore.
Obstfeld, 64 anni, di scuola Mit come il suo predecessore Olivier Blanchard, una carriera a Berkeley e una breve esperienza fra i consiglieri economici del presidente Barack Obama, è arrivato all'Fmi poco più di un anno fa. Allora, scrive nell'introduzione del “World Economic Outlook” pubblicato questa settimana, fra le maggiori preoccupazioni per lo scenario globale c'erano la Cina, i prezzi delle materie prime, le decisioni della Federal Reserve. Oggi, molte di queste preoccupazioni sembrano essersi spostate su fattori politici: la bassa crescita genera populismo e protezionismo, che possono a loro volta danneggiare le prospettive economiche. E al centro di queste difficoltà c'è l'Europa, dopo lo shock di Brexit e i problemi sorti per l'enorme flusso di migranti.

La politica economica, secondo il capo economista dell'Fmi, deve cambiare passo, con una strategia a tre punte che affianchi alla politica monetaria quella fiscale e le riforme strutturali, un tasto su cui batte da tempo anche il presidente della Bce, Mario Draghi. Anche perché le banche centrali si stanno avvicinando al limite delle loro possibilità d'azione.
«Pensiamo che le banche centrali – sostiene il capo economista dell'Fmi - abbiano ancora la capacità di agire e di farlo in modo efficace. Ma in alcuni casi stanno sperimentando nuovi strumenti, come i tassi d'interesse negativi. Hanno avuto successo nell'abbassare i tassi a lunga, ma questo è negativo per le banche e ha effetti collaterali che possono rendere più costose le loro misure. Quindi potremmo dire che ci avviciniamo al limite degli strumenti disponibili, al margine diventano meno efficaci e più costosi. Il che non vuol dire che le banche centrali abbiano finito le munizioni. Ma che non è una situazione “sana” se le altre politiche economiche non sono utilizzate».

Obstfeld è convinto che in Europa l'uso della politica di bilancio per sostenere la crescita sia insufficiente, soprattutto nei Paesi come la Germania, che hanno lo spazio nei conti pubblici per farlo, altro tema caro a Draghi. «Due cose di cui l'Europa ha bisogno – sostiene - sono una capacità d'investimento europea maggiore e una politica di bilancio più favorevole alla crescita, seppure a deficit costante. E i Paesi con spazio nei bilanci dovrebbero usarlo per investimenti produttivi: con i tassi a zero genererebbero crescita senza compromettere la sostenibilità dei conti. La Germania ha spazio per un'espansione fiscale che beneficerebbe la Germania stessa e l'eurozona, anche se le ricadute dirette sulla domanda sono modeste».

Per quanto riguarda Paesi ad alto debito come l'Italia, tuttavia, la strada da percorrere è un'altra e la flessibilità invocata dal Governo riguardo alle regole europee gioca solo un ruolo minore, nel parere dell'economista americano. «L'Italia – dice Obstfeld - ha bisogno di un piano per ridurre il debito pubblico. Un po' di flessibilità può aiutare la crescita per un anno o due, ma bisogna mettere il debito su un percorso calante, dato che la situazione è vulnerabile a un aumento dei tassi. Ecco perché è importante fare le riforme strutturali. Il Jobs Act, per esempio, è stato uno dei passi avanti importanti, ma bisogna fare di più. Ulteriori riforme strutturali possono creare lo spazio per maggior flessibilità nella politica di bilancio. Abbiamo detto che le politiche economiche devono essere comprensive, coerenti e coordinate. Tutti gli strumenti devono essere utilizzati insieme. Più riforme strutturali possono mettere la crescita su una traiettoria più alta».

Il ruolo della Bce comunque non è esaurito, anche se la ricerca del consenso al suo interno non è facile. «Come altre banche centrali – dice Obstfeld - la Bce deve affrontare il problema dell'efficacia della propria politica, ma deve anche confrontarsi con vincoli politici. È un compito complesso. Ma alla Bce hanno sempre sottolineato che sono decisi a fare quello che è necessario per rispettare il proprio mandato. Non c'è dubbio che l'Europa è stata più lenta del previsto nel raggiungere l'obiettivo d'inflazione. Ecco perché insistiamo che le altre politiche devono entrare in gioco. Ma una politica monetaria accomodante resta molto importante».

Anche sull'altra sponda dell'Atlantico, dove la Federal Reserve sembra avviata a un rialzo dei tassi nei prossimi mesi, il capo economista dell'Fmi ritiene che sia importante che la politica monetaria mantenga il sostegno all'economia e non si muova prima del tempo. «La Fed – afferma Obstfeld - studia i dati. La pressione su inflazione e salari non è allarmante. D'altro canto, il mercato del lavoro presenta una disoccupazione molto bassa. La prima metà dell'anno non è stata stellare (anche se non è stata pessima) e a nostro modo di vedere l'economia non è abbastanza forte da giustificare un rialzo dei tassi d'interesse al momento. Abbiamo suggerito che la Fed vada al di là del suo obiettivo del 2% di inflazione, un'opinione che la Fed non condivide. Fosse per noi, aspetterei ancora prima di alzare i tassi».

Alla conferenza stampa che ha aperto le riunioni autunnali del Fondo monetario, Obstfeld ha chiesto che le autorità di politica economica si decidano finalmente ad agire in modo più determinato. La riprova si avrà entro la fine di questa settimana, ma i precedenti non incoraggiano all'ottimismo.

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