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Per Cina e India import di petrolio al record storico

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Per Cina e India import di petrolio al record storico

(Afp)
(Afp)

L’Asia continua a guidare la domanda di petrolio, con importazioni al record storico in settembre sia per l’India che per la Cina. Pechino in particolare ha acquistato all’estero 33,06 milioni di tonnellate di greggio, ossia una media di 8,08 milioni di barili al giorno, il 18% in più rispetto a un anno prima, sorpassando per la terza volta negli ultimi dodici mesi gli Stati Uniti,che - pur essendo tornati a dipendere maggiormente dall’estero - si sono fermati nello stesso mese a 7,98 mbg. Mercoledì anche New Delhi aveva comunicato un nuovo record di importazioni, con 4,47 mbg (+17,7%).

I dati sembrano contraddire il pessimismo dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aie), che un mese fa aveva lanciato un allarme sulla salute della domanda petrolifera, con la giustificazione che «i recenti pilastri della sua crescita, la Cina e l’India, stanno traballando» (si veda il Sole 24 Ore del 14 settembre). La stessa agenzia anche nell’ultimo rapporto mensile, diffuso questa settimana, insisteva che «la crescita della domanda cinese è quasi del tutto scomparsa nel terzo trimestre rispetto all’anno scorso».

In realtà l’analisi dei dati è più complessa di quanto appaia a prima vista. A sostenere le importazioni cinesi non sembrano infatti essere i consumi locali, che anzi restano relativamente deboli. Dall’economia cinese d’altra parte non arrivano segnali troppo incoraggianti. Anche la bilancia commerciale nel complesso scricchiola:  nonostante il boom di acquisti di petrolio - e anche di gas, carbone e minerale di ferro, ma significativamente non di rame - il valore delle importazioni si è ridotto dell’1,9% e quello delle esportazioni è crollato del 10% (si veda il servizio a pagina 2). 

In realtà Pechino continua soprattutto ad accumulare riserve strategiche di greggio, un’attività che finora ha fornito un sostegno decisivo alla domanda petrolifera mondiale: l’Aie stima che abbia più che neutralizzato il rallentamento delle lavorazioni nelle raffinerie, che a livello globale nel terzo trimestre è stato «il più significativo da oltre un decennio escludendo l’ultima recessione» (gli impianti hanno assorbito solo 330mila bg in più rispetto all’anno scorso).

Il piano cinese per le riserve strategiche potrebbe tuttavia concoscere una battuta d’arresto con l’esaurirsi degli spazi di stoccaggio, o una volta venuta meno la convenienza a importare, per il rincaro del prezzo del barile e magari anche per un’eccessiva svalutazione dello yuan: fenomeni che si stanno entrambi verificando.

Allo stesso tempo, Pechino continua a far sentire la sua ingombrante presenza sui mercati di esportazione, con effetti perlopiù ribassisti sui prezzi: in settembre ha riversato all’estero 4,3 milioni di tonnellate di prodotti raffinati (+21,1%), anch’essa una quantità vicina al record storico. 

Negli Stati Uniti intanto le scorte di greggio (in questo caso commerciali) hanno ripreso a crescere:  dopo sei settimane consecutive in calo, l’Eia ha registrato un aumento di 4,9 milioni di barili. L’impatto negativo sul mercato è stato tuttavia attenuato da una riduzione, superiore alle attese, degli stock di carburanti e Brent e Wti hanno chiuso in rialzo di circa mezzo punto percentuale, rispettivamente a 52,03 e 50,44 dollari.

Le scorte di distillati in particolare sono diminuite di 3,7 mb e quelle di benzine di 1,9 mb, in seguito a un netto rallentamento delle raffinerie, che hanno utilizzato solo l’85,5% della capacità degli impianti (-2,8%).

La grande flessibilità del sistema di raffinazione americano, insieme a consumi tuttora robusti e un buon ritmo di esportazioni, ha permesso di ridimensionare rapidamente il surplus di benzine negli Usa, fa notare John Kemp, analista della Reuters: oggi le scorte di questo carburante si sono quasi riallineate ai livelli di un anno fa, mentre in luglio erano del 12% superiori.

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