Nella partita del gas tra Gazprom e la Commissione europea, è stata quest’ultima a fare la prima concessione concreta. I russi hanno ottenuto il sospirato via libera ad un maggiore utilizzo di Opal, gasdotto cruciale per riuscire ad aumentare il transito di metano via Germania, in quanto collega l’approdo di Nord Stream sulla costa baltica al confine con la Repubblica Ceca. Anche a questa decisione era appeso il destino del piano di raddoppio del Nord Stream, benché il progetto resti per ora nel limbo, a causa di problemi di azionariato e di finanziamento.
Gazprom, finora costretta dalle normative Ue a non utilizzare più del 50% della capacità di Opal, avrà d’ora in poi la possibilità - quanto meno teorica - di salire fino all’80% per un totale di 28,2 miliardi di metri cubi (Mmc) l’anno. Secondo la decisione di Bruxelles 18 Mmc saranno di uso esclusivo della società russa e della tedesca Rwe fino al 2033, mentre il resto dovrà essere messo all’asta, riservando non meno del 20% ad altri fornitori di gas. La stessa Gazprom potrà accedere alle aste, ma non potrà fare rilanci rispetto al prezzo base, che a sua volta non dovrà eccedere la media del prezzo della capacità su altre pipeline paragonabili.
Una soluzione complessa e salomonica, quella adottata dalla Commissione Ue, sulla difensiva rispetto alle proteste e ai ricorsi che quasi certamente arriveranno dai paesi dell’Europa orientale, Polonia in testa, che hanno reagito con irritazione ai segnali di distensione con la Russia. Mosca non solo ha scampato le sanzioni sulla Siria, ma appare vicina a raggiungere un accordo anche sull’inchiesta antitrust contro Gazprom, benché al Sole 24 Ore risulti che in realtà la soluzione non sia né scontata né imminente, ma che arriverà se va bene non prima di gennaio-febbraio.
Bruxelles ha sempre voluto tenere distinto il dossier Opal dal caso antitrust, ma a livello politico - e forse anche al tavolo negoziale - le due vicende si intrecciano. La compagnia di stato polacca PGNiG ha già minacciato azioni legali in caso di concessioni a Gazprom, nell’uno o nell’altro caso.
Varsavia è anche all’origine di molti dei problemi con cui si sta scontrando Nord Stream 2: in agosto la sua autorità antitrust si è opposta alla joint venture che sosteneva il progetto, spingendo i cinque soci occidentali - le tedesche Uniper (spin off di E.On) e Wintershall, l’austriaca Omv, l’anglo-olandese Shell e la francese Engie (ex Gdf Suez) - a tirarsi indietro per evitare un contenzioso. A Gazprom è rimasto in mano il 100% della società e il “cerino” di dover trovare i 9,9 miliardi di euro necessari per il raddoppio del gasdotto. Gli ex soci hanno promesso un appoggio esterno, anche in denaro. Ma non è chiaro come. E la Reuters scrive che il prossimo 9 novembre il piano potrebbe essere cancellato.
Proprio ieri, intanto, Engie sembra passata dall’altra parte della barricata: la società, che vanta di essere diventata il primo fornitore di gas dell’Ucraina, ha siglato un accordo con UkrTransGaz per riservare capacità di trasporto e stoccaggio nel paese, dove promette di aprire una succursale.
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