La scelta di preparare la strada per far partire la complicata ricapitalizzazione di Mps dal giorno successivo il referendum costituzionale non è casuale. Se vincerà il sì, il consorzio guidato da JP Morgan e Mediobanca - che ha sottoscritto un impegno di pre-underwriting valido fino al 31 dicembre - conta di riuscire a chiudere l’operazione in pochi giorni con una sorta di “collocamento privato” che non prevede il diritto d’opzione a favore dei vecchi azionisti. Se invece vincerà il no, potrebbero materializzarsi i rischi già evidenziati nei documenti informativi dopo aver tastato il polso al mercato. Il rafforzamento patrimoniale da 5 miliardi che, così come congegnato, richiede che tutti i tasselli vadano a posto in modo sincronizzato, salterebbe nella formula proposta. Ma non sarebbe necessariamente il bail-in - il capestro calato sugli stakeholder di Etruria & C. - la soluzione finale.
In realtà, c’è un altro scenario - se non proprio un piano B che nessuno confermerà - che la Borsa, dove da giorni circolano voci e congetture, ha già iniziato a subodorare. In questo scenario, come era previsto nel modello di riferimento delle quattro banche greche, ricapitalizzate “a forza” per evitare il fallimento lo scorso anno, la conversione in azioni, proposta a 4,3 miliardi di bond subordinati nel caso di Mps, diventerebbe da volontaria a obbligatoria. Dopo aver azzerato il capitale e aver convertito le obbligazioni meno protette, prima di arrivare a toccare i bond senior come sarebbe nel bail-in, potrebbe intervenire lo Stato o comunque un veicolo pubblico per compensare l’ammanco con una sottoscrizione di nuovo capitale, tanto più che lo Stato in questo caso - per via dei Monti bond - è già azionista. Naturalmente è uno scenario che - ammesso sia praticabile - non si augura nessuno, tantomeno le banche del consorzio che, per il momento, si limitano a riferire che tutti i cantieri aperti stanno procedendo.
E tuttavia è del tutto razionale la scelta di sbarazzarsi dei bond da parte dei piccoli obbligazionisti, che avevano sottoscritto in massa (37mila risparmiatori) l’emissione subordinata 2008-2018 da 2,1 miliardi,il cui prezzo è sceso intorno a 60 (-11% in due sedute) sebbene venga offerto di ritirare i titoli a 100 a patto di reinvestirne il ricavato in nuove azioni della banca. Con le incognite che ancora gravano sul piano, meglio lasciare il rischio agli operatori professionali che sono più attrezzati a gestirlo.