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Mps chiude la conversione bond. Maxi-vertice dopo il referendum

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CREDITO

Mps chiude la conversione bond. Maxi-vertice dopo il referendum

(Ansa)
(Ansa)

Si deciderà tra oggi e martedì il destino di Banca Mps. La ricapitalizzazione da 5 miliardi della più antica banca al mondo è appesa a una serie di eventi concatenati, il primo dei quali è rappresentato, oggi, dalla conversione in azioni dei bond subordinati sul mercato, mentre è previsto al più tardi martedì l’ok del consorzio e del Cda a procedere con l’operazione. Primo tassello del mosaico, come detto, è costituito dal buon esito dell’offerta pubblica di acquisto su undici obbligazioni subordinate, del valore complessivo di 4,3 miliardi.

Alle 16 scade il tempo per aderire. E in serata il mercato saprà in via preliminare - i numeri definitivi saranno comunicati lunedì - quanto dei 5 miliardi di aumento sarà coperto dal liability management exercise. Vero è che realisticamente gli investitori attenderanno fino all’ultimo giorno, e quindi oggi, per decidere cosa fare, ma ieri in banca si respirava un clima di discreto ottimismo.

Il management punta a raccogliere tra 1 e 1,5 miliardi, che al netto della già annunciata adesione di Generali (per 420 milioni) si traduce in uno sforzo da parte degli obbligazionisti subordinati di circa 1 miliardo. Un valore considerato a portata di mano dal management.

Di sicuro nel novero dei possibili bond da convertire non ci sarà il miliardo di obbligazioni “Fresh 2008”, quasi interamente in mano ai fondi (con Attestor capofila): troppo complicato dal punto di vista tecnico procedere velocemente con l’operazione, poiché il subordinato è sui libri di Mitsubishi e non di Mps; troppo ampia la forbice tra il prezzo offerto per la conversione rispetto a quello indicativamente chiesto da fondi. Se ne riparlerà forse in futuro, visto che sul bond la banca paga un interesse salato, ma il dossier per ora è accantonato.

Certo è che una volta assodata la partecipazione dei bondholder si capirà qualcosa di più anche sulla disponibilità degli anchor investor a prendere parte all’aumento.

In pole position, come noto, c’è il fondo del Qatar, che potrebbe mettere sul piatto fino a un miliardo. Il Qia avrebbe anche contattato anche un advisor legale, Freshfields, per farsi assistere nel dossier. Ma perché dalle parole si passi ai fatti occorrerà attendere.

Un’ipotesi, forse ottimistica, è che il fondo si dichiari della partita già nel corso del week-end, a esito del referendum costituzionale ancora sconosciuto: una mossa simile avrebbe il vantaggio di puntellare l’operazione agli occhi del mercato, instradandola su un percorso facilitato. Accanto al braccio finanziario di Doha ci sarebbero del resto anche alcuni fondi americani - si sussurra Paulson e Blackrock - che a quel punto potrebbero mettere la loro fiche con più facilità. Più realistico tuttavia che il Qatar presenti la lettera di interesse solo lunedì, una volta che il mercato avrà detto la sua sull’esito del voto referendario.

Proprio l’impatto del referendum sui mercati sarà del resto al centro delle attenzioni del consorzio di banche d’affari capitanate da JpMorgan e Mediobanca. I rappresentanti delle banche (assieme a Santander, Bofa Merrill Lynch, Citigroup, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs, assistiti dall’advisor legale Clifford Chance) incontreranno il management della banca lunedì mattina, a Milano, in un maxi-vertice che a partire dalla tarda mattinata monitorerà la reazione dei mercati per valutare cosa fare. La firma di un vero e proprio contratto di garanzia è subordinata alla valutazione qualitativa da parte dei banchieri, oltre che dell’esito dell’Lme e del pre-marketing, dello scenario politico e dell’andamento dei listini nel loro complesso. Se tutto ciò sarà ritenuto “soddisfacente” ci sarà spazio per la convocazione del Cda della banca, che dovrà deliberare il via libera al massimo entro martedì mattina. L’obiettivo è infatti partire con l’offerta il 9 dicembre o al più tardi entro il 12, così da chiudere l’aumento entro il 23 dicembre.

Diversamente, qualora anche uno di questi tasselli non andasse al suo posto, occorrerà pensare a un piano B. Il Ceo Morelli ha già detto che in caso di naufragio la banca tornerà a Francoforte «dove valuteremo come muoverci con la Vigilanza». Certo è che il bail-in è un’ipotesi che, benché nello spettro delle possibilità, nessuno vuole prendere in considerazione, a Roma in particolare, per gli effetti a cascata che potrebbe generare su tutto il mercato. Forse anche per questo il sottosegretario al presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, ieri a un convegno a Milano ha voluto sottolineare: «Non ci sarà bisogno di alcun intervento dello Stato. Mps è una banca perfettamente in grado di capitalizzarsi sul mercato».

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