La sorpresa sui bond Mps è la presenza del retail per oltre la metà dell’importo - 4,2 miliardi - oggetto della proposta di conversione. Con la conseguenza, secondo un’impressione raccolta a caldo, che l’offerta al retail sia andata quasi deserta. Anche chi era interessato a aderire, non sempre ha potuto farlo. Il prospetto informativo vagliato dalla Consob specificava infatti, in ottemperanza alla Mifid, le modalità di adesione dei risparmiatori, che non avrebbero potuto essere sollecitati a partecipare, ma non avrebbero potuto neppure essere ammessi se il loro profilo di rischio non fosse stato compatibile con l’investimento azionario, in questo caso anche più rischioso del “normale”. Anche da parte degli investitori istituzionali - hedge fund, ma non solo - l’adesione è stata inferiore alle attese del mercato. Considerato che sul poco più del miliardo apportato all’offerta, 400 milioni venivano da Generali, si può stimare che abbia risposto all’appello circa un terzo della quota istituzionale.
La conversione dei bond subordinati Mps ha superato, dunque, la soglia del miliardo. I dati preliminari non dicono molto di più, ma è chiaro che l’adesione non è andata oltre le aspettative più conservative. La vera sorpresa è stata appunto la presenza del retail anche nelle emissioni differenti dal prestito decennale, con scadenza 2018, dell’importo di 2,1 miliardi, che originariamente era stato sottoscritto da 37mila investitori. Infatti, tra gli aderenti ci sarebbero state anche molte banche italiane per conto della clientela, con importi poco significativi.
Sulle modalità di adesione del retail la Consob ha posto dei paletti, in applicazione della Mifid, che di fatto hanno scremato notevolmente il numero di chi avrebbe potuto convertire i propri bond in azioni. Ci sono testimonianze di chi sarebbe stato interessato, ma non ha potuto partecipare perchè non aveva il profilo di rischio adeguato. Come riportato nel prospetto informativo, infatti, un responso negativo alla valutazione di adeguatezza del profilo del cliente avrebbe “bloccato” l’accesso all’operazione. Comunque, sempre per disposizioni regolamentari, l’investitore retail avrebbe dovuto presentare dichiarazione olografa, mentre alla banca incaricata, la stessa Mps, era inibito «raccomandare o consigliare» l’adesione. Di fatto, secondo fonti finanziarie, l’offerta al retail avrebbe raccolto adesioni minime.
In sostanza, chi sottoscrive un’obbligazione subordinata non ha normalmente il profilo idoneo all’investimento azionario. Nel caso di Mps il rischio è ancora maggiore, trattandosi in sostanza di un salvataggio. Comunque la validità della conversione è subordinata alla riuscita del complesso di operazioni connesse alla ricapitalizzazione da 5 miliardi. Tutti i tasselli, nessuno escluso, dovranno andare a posto: la conferma dell’impegno dell’anchor investor, la sottoscrizione dell’aumento di capitale destinato al mercato e il completamento della cartolarizzazione degli Npl. Il tutto prima di Natale.
Anche sul fronte istituzionale, comunque, la risposta è stata più tiepida delle aspettative, se si considera che oltre la metà dei 4,2 miliardi di emissione interessate dall’offerta di conversione si è rivelata essere in mano al retail, con le difficoltà sopra descritte, e che 400 milioni sono arrivati da Generali che ha partecipato con l’intero ammontare di bond in portafoglio. Facendo i conti, dunque, solo circa un terzo della quota in mano a investitori professionali diversi da Generali è stata consegnata per la conversione in azioni.
Tra i detentori dei bond c’erano molti hedge fund che hanno preso posizione recentemente, come pure, con investimenti più datati, fondi e altri istituzionali come le compagnie assicurative. Anche qui il comportamento non è stato univoco. I fondi speculativi con le maggiori posizioni, sopra i 70 milioni e alcuni sopra i cento milioni, hanno consegnato tutto quanto avevano dichiarato di possedere (certezze non ce ne sono, comunque, perchè l’anagrafe delle emissioni non esiste), altri - probabilmente quelli che avevano in mano le emissioni con scadenza più vicina - non hanno voluto partecipare per nulla, contando sul fatto che l’operazione sarebbe andata in porto comunque.
Un calcolo, come si è visto, molto azzardato. Perchè ora - se si riuscirà a superare senza eccessive turbolenze lo scoglio del referendum costituzionale - l’aumento di capitale rivolto al mercato “libero”, senza considerare cioè i 200 milioni che dovrebbe mettere sul piatto l’azionista Tesoro, rischia di essere d’importo superiore ai 2 miliardi. Con una capitalizzazione di Borsa di Mps ridotta a meno di 600 milioni, non sarà comunque una passeggiata.
© Riproduzione riservata