Il primo dei cinque miliardi di aumento di capitale di Mps è in cassaforte. E si tratta di un risultato, benché non eclatante, quanto meno non scontato, visto il clima di incertezza che si respira sui mercati. Ieri alle 16 si è chiusa come previsto l'offerta pubblica di acquisto volontaria promossa dalla banca senese su una decina di bond subordinati: agli investitori è stato proposto in sostanza di convertire le loro obbligazioni in capitale da reinvestire obbligatoriamente in nuove azioni dell'istituto, che è alle prese con un aumento di capitale da 5 miliardi.
In quattro giorni, tanto è durato il periodo di adesione, la banca ha raccolto adesioni «superiori alla soglia di un miliardo di euro», come si legge in una nota della banca. Il dato è in verità preliminare, perché calcolato sulla base dei dati provvisori comunicati dalle banche incaricate della raccolta, ovvero Mps Capital Services e Lucid Issuer Services. Perché si arrivi al dato finale occorrerà attendere fino a lunedì, quando saranno resi noti i risultati definitivi dell'offerta, visto che solo allora «tutte le adesioni ricevute entro il periodo di adesione saranno state processate, nei tempi tecnici del caso», segnalava ieri la banca. La stima è che il conteggio finale tuttavia non si discosti particolarmente dalla cifra tonda, arrivando a chiudere nell’intorno di 1-1,2 miliardi.
Si vedrà. Certo è che la banca può dire di aver “spuntato” il primo fondamentale tassello del mosaico dell'aumento. E non si può dire che il buon esito fosse garantito. Il bacino potenziale dei bond «convertibili» in azioni si è infatti progressivamente ridotto dagli iniziali 5,3 miliardi di euro a circa 2,2 miliardi. Prima è rimasto escluso dal novero della conversione il bond Fresh da circa un miliardo, per l'eccesso di divergenza tra il prezzo richiesto dai bondholder e quello offerto dall'istituto e le difficoltà tecniche dell'operazione. Poi è stato sostanzialmente stralciato dall'offerta il bond Upper tier II 2018: un colpo secco da 2,1 miliardi, un'emissione che è quasi integralmente nelle mani del retail. La banca, su input della Consob, ha scelto di non sollecitare la clientela a procedere con la conversione, lasciandone la facoltà solamente ai possessori adeguatamente informati. Di fatto quindi, sui 2,2 miliardi di euro potenzialmente interessati, circa la metà ha preso la strada della conversione. Non tutto quindi, e anche un po' meno delle stime più ottimistiche, che avevano ipotizzato anche in oltre 1,5 miliardi la quota ideale. Ma neanche meno delle attese minime della banca, che aveva messo l'asticella proprio alla soglia psicologica del miliardo.
Il 50% di conversione circa sul totale potenziale peraltro è una percentuale in linea con quanto da giorni sembrava essere l'approccio preannunciato da molti investitori: diversi fondi, in bilico tra l'incertezza dei futuri risvolti del piano ma attratti dalle condizioni dell'offerta, hanno scelto di “smezzare” il rischio, convertendo metà dei bond in possesso mantenendo intatti i rimanenti. Non tutti hanno seguito questa strada. C'è infatti chi, come il gruppo Generali, ha annunciato pressochè da subito di aderire all'offerta, convertendo tutti i circa 400 milioni a disposizione.
Ora che il capitolo del Liability management può dirsi quanto meno fatto, si guarda ai prossimi atti dell'aumento da 5 miliardi necessario per coprire l'ammanco di capitale derivante dalla cessione di 27 miliardi lordi di Npl. La prossima tappa come noto è rappresentata dall'adesione all'offerta da parte dell'anchor investor. Si guarda dunque alle mosse del fondo del Qatar, che potrebbe uscire allo scoperto lunedì, a esiti del referendum noti e reazioni del mercato in corso. Il fondo di Doha, che sarebbe assistito da Rothschild e Freshfields, potrebbe presentare una lettera di interesse nel corso della giornata, mettendo sul piano fino a un miliardo. Una mossa che, se confermata, spianerebbe la strada anche a un'altra manciata di investitori americani – si parla di Paulson e Blackrock - che potrebbero apportare quote inferiori ma comunque utili a puntellare l'operazione. La partecipazione o meno degli investitori stranieri al progetto Mps è condizionata ovviamente alla reazione dei mercati post-referendum e agli eventuali contraccolpi politici. Di tutto questo si ragionerà nel corso di una maxi-vertice che si terrà lunedì a Milano tra le diverse banche d'affari capitanate da Mediobanca e JpMorgan e i vertici della banca. Un summit decisivo, visto che da qui sfocerà la decisione finale sull'emissione (o meno, se le banche scegliessero di sfilarsi) della garanzia sull'inoptato da parte del consorzio. A valle, e quindi martedì mattina, a Siena si farà il punto con un Cda straordinario: al board, se tutto sarà filato liscio, toccherà deliberare l'aumento di capitale e definire i dettagli dell'offerta, in modo da chiudere il tutto entro l'anno.
© Riproduzione riservata