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Mps tratta con Bce sull’aumento: possibile proroga a fine gennaio

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IL CASO MONTEPASCHI

Mps tratta con Bce sull’aumento: possibile proroga a fine gennaio

La soluzione privata è in salita, la soluzione pubblica è in via di definizione ma comunque occorre un interlocutore al Governo: l’epilogo per il salvataggio di Monte dei Paschi, come certifica la Borsa, sembra vicino ma il come e il quando sono ancora incerti. Pertanto il Monte avrebbe bisogno che la Banca centrale europea congelasse per qualche settimana la situazione, allontanando la scomodissima scadenza di fine 2016 (messa nero su bianco per la prima volta il 23 novembre) per la ricapitalizzazione da 5 miliardi.

Di questo ieri il ceo Marco Morelli ha parlato con i vertici della Vigilanza della Bce. La presidente, Danièle Nouy, però, non era a Francoforte, e in ogni caso la questione è di tale portata da necessitare di un avallo del Supervisory board, che si riunisce già nella giornata di domani: sta di fatto che, secondo quanto si apprende, la Vigilanza starebbe valutando una proroga al massimo fino a fine gennaio per il ritorno sopra le soglie minime di capitale. Le settimane che Bce potrebbe concedere dovrebbero rivelarsi sufficienti a determinare una nuova struttura per il salvataggio: il mercato evidentemente ci crede, visto che ieri il titolo ha chiuso in positivo la seduta (+1,1%) dopo essere stato più volte sospeso al ribasso, e in generale è stata una seduta da incorniciare per i bancari. Come se il rischio contagio, o di nuovi oneri sistemici, si stia allontanando.

Oggi il Cda
Il Monte farà oggi il punto in cda, convocato per il pomeriggio nella sede milanese di Via Santa Margherita. La Scala è a due passi, e mentre qui si celebrerà il rito della prima con la Butterfly di Puccini, in banca si deciderà come riarticolare il piano messo in crisi dal voto di domenica scorsa, che ha fatto venir meno le premesse necessarie per procedere spediti con la soluzione privata. Anche se formalmente, l’impalcatura studiata da Jp Morgan e Mediobanca è ancora in piedi: l’anchor investor, cioè il fondo sovrano del Qatar, non ha ancora formalizzato il venir meno del suo potenziale contributo di un miliardo, dunque la garanzia del consorzio delle banche d’affari non è ancora del tutto esclusa. Certo, fossero rose sarebbero già fiorite, dunque il piano A è dato per molto improbabile: nessuno, però, in questa fase sembra volersi assumere la responsabilità di dichiararlo decaduto. Secondo quando risulta a Il Sole, ieri il ceo del Monte, Marco Morelli, in una call con le banche del consorzio di garanzia avrebbe ragionato sulla possibilità di lasciare aperta la porta ancora per qualche giorno, ma non di più: solo quando sarà ufficialmente sfumato il Piano A si potrà passare al Piano B, o studiare qualche forma ibrida.

Il piano B
Per quanto riguarda l’intervento pubblico, l’impianto è in fase di definizione (si vedano i servizi nella pagina a fianco), ma trattandosi di operazione complessa è difficile pensare a un’attuazione immediata. Soprattutto nel caso in cui, come probabile, dovessero essere coinvolti in qualche misura gli obbligazionisti. Ieri sera, in particolare, si ragionava della possibilità di un riacquisto da parte dello Stato dei titoli in mano ai piccoli risparmiatori.

I detentori di bond
Il nodo principale, d’altronde, è quello di riuscire a tener fuori il retail. Il tema, come è emerso dal salvataggio di Banca Marche e delle altre tre banche di un anno fa, è delicatissimo dal punto di vista sociale e quindi politico. E della scarsa propensione dei risparmiatori alla conversione dei bond in azioni si è avuta conferma ieri con i dati definitivi sulle adesioni alla conversione di bond subordinati in azioni ordinarie, da cui è stato raccolto 1,028 miliardi di euro. Dalle analisi del dato emerge che i piccoli risparmiatori, a cui Mps aveva venduto allo sportello oltre 2 miliardi di euro di bond subordinati per finanziare l’acquisizione di Antonveneta, hanno quasi completamente disertato la conversione dei loro titoli in azioni.

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