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Bitcoin, il Fisco Usa vuole tassare le transazioni. E chiede le liste…

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Internal Revenue Service

Bitcoin, il Fisco Usa vuole tassare le transazioni. E chiede le liste degli utenti

Foto Reuters
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La stupefacente corsa speculativa della valuta digitale bitcoin (il prezzo è salito in un anno del 188%) ha fatto scattare la reazione del cane da guardia del sistema tributario americano l'Internal Revenue Service. Mentre Governi e banche centrali sono in affanno nel tenere testa alla diffusione delle cryptovalute nell'economia reale, il fisco Usa ha deciso di usare le maniere forti: identificare i titolari di conti bitcoin per tassarne le transazioni e ridurre il rischio di un uso illegale del web-denaro per il riciclaggio e l'evasione fiscale. Nel mirino c'è la piattaforma Coinbase di San Francisco a cui è stato ordinato di consegnare i nominativi e i dati di tutti gli utenti che hanno fatto transazioni in bitcoin tra il 2013 e il 2015.

Mai prima d'ora la più importante autorità fiscale del mondo aveva chiesto informazioni tanto dettagliate, indirizzi IP degli utenti e dati sulle transazioni sul commercio in valuta virtuale, un mercato cresciuto senza regole e vigilanza: pur essendo di fatto una valuta fiduciaria come l'euro o il dollaro, monete digitali come bitcoin non hanno un'autorità centrale di emissione garanzia e quindi non sono riconosciute giuridicamente come denaro reale. La riservatezza delle transazioni, cioè uno dei punti di forza del cryptovalute, rischia quindi di venire inficiata sull'altare del fisco Usa.

Mentre si nota l'aggressività dell'Irs, l'Europa da parte sua con la Bce tiene sotto controllo il fenomeno, ma si è limitata per ora a dare generiche raccomandazioni alle banche centrali sottoposte. Il risultato è stato tipico dell'Europa: ciascuno va per conto proprio, senza preoccuparsi degli altri partner dell'Unione. Olanda, Danimarca ed altri Paesi dell'Europa centrale hanno avviato progetti di sviluppo di cryptovalute nazionali, mentre i Paesi della fascia mediterranea sembrano ancora una volta in coda al treno: in mancanza di regole valide per tutti e di un quadro normativo europeo, le Authority nazionali si stanno muovendo in ordine sparso, accentuando quella sensazione di “babele bancaria” che pervade l'eurosistema. In Cina, come è noto, i bitcoin sono stati sottoposti a restrizioni per la scoperta di fughe di capitali e riciclaggio.

È di poche settimane fa il blocco al prelievo di bitcoin in Cina da parte di due dei principali gestori, a seguito delle direttive e alle restrizioni della Pboc pensate per sostenere lo yuan evitando la fuga di capitali (la domanda di bitcoin è aumentata del 160% in più rispetto a quella del dollaro). e riciclaggio tramite la cryptovaluta oltre che a sostenere lo yuan. Il blocco al ritiro dei bitcoin potrebbe durare un mese o più per adeguarsi alle linee guida della banca centrale cinese.
Ma gli Usa e la Cina non sono gli unici Paesi in cui bitcoin è sotto attacco: negli Emirati, c'è addirittura una sorta di “fatwa” su bitcoin e con il solo possesso si rischia l'arresto.

I tentativi di tenere sotto controllo il bitcoin dalle banche centrali asiatiche e l'irruzione in forze del fisco americano su bitcoin rischiano di limitarne i principali pregi alla diffusione, cioè il non dover sottostare alla regolamentazione delle valute da parte delle banche centrali alle regole fiscali ed essere esentasse. La valuta digitale infatti nei giorni degli interventi dell'Agenzia delle entrate americana e dell'intervento della Pboc è rispettivamente sceso del 4,4% e del 7,8% per poi riprendere a crescere.

Una cosa è certa: in particolar modo dopo l'intervento senza precedenti da parte del fisco americano che apre scenari senza precedenti: applicando le tasse sulle transazioni si genera di fatto un riconoscimento giuridico. La questione è di altissimo rilievo soprattutto per le banche centrali sentinelle del monopolio valutario reale nel sistema economico globale. bitcoin è riconosciuto dagli Stati come denaro poiché gli stati lo vogliono tassare e monitorare nella sua diffusione.

Comunque sia, già 14 dei primi 30 gruppi bancari internazionali stanno sperimentando piattaforme digitali per entrare nel business del denaro virtuale, aprendo nuovi scenari che in futuro potrebbero cambiare gli equilibri tra le monete fiduciarie.

Viene da chiedersi: le superpotenze porranno un muro di regolamentazione talmente alto che nemmeno bitcoin potrà scavalcare nella sua corsa?

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