L’inflazione è tornata. Sulla spinta del rialzo dei prezzi dei carburanti in tutte le economie sviluppate i prezzi al consumo sono risaliti. Il mercato, che fino a pochi mesi fa temeva soprattutto il rischio deflazione (prezzi in calo), ha dovuto prendere le adeguate contromisure. Sulla scommessa che questa risalita dei prezzi possa spingere le banche centrali a rivedere in senso restrittivo le politiche monetarie non convenzionali varate in questi anni il mercato ha venduto pesantemente l’obbligazionario.
Tra Paesi sviluppati tuttavia ce n’è uno che, in questi primi mesi dell’anno, è sfuggito alle vendite generalizzate: il Regno Unito. L’indice Thomson Reuters che misura l’andamento medio dei prezzi dei titoli britannici a lunga scadenza da inizio anno ha guadagnato l’1,5 per cento. In netta controtendenza rispetto all’indice Iboxx che monitora le obbligazioni governative nell’area euro sulla stessa scadenza che, nello stesso lasso di tempo ha perso il 4,49 per cento.
Questo orientamento divergente è paradossale. Se in tutta Europa l’inflazione è risalita, e ciò ha spinto gli investitori a scommettere sulla fine del Quantitative easing della Bce, nel Regno Unito questo fenomeno è stato ulteriormente accentuato dalla svalutazione della sterlina dopo il referendum sulla Brexit.
L’indice dei prezzi al consumo nel Regno Unito è salito al 2,3% e questo in linea di massima dovrebbe alimentare aspettative su un rialzo dei tassi da parte della Bank of England con l’effetto di far salire i tassi dei governativi britannici. Ciò tuttavia non è successo per varie ragioni: in primo luogo la Bank of England non ha dato alcun segnale di voler rivedere la propria politica monetaria nell’immediato facendo capire di voler aspettare che questa ondata inflazionistica (alimentata da fattori esterni) si esaurisca prima di mettere in atto contromosse. Non sono ancora ben chiari gli effetti che il divorzio dall’Unione europea potrà avere sull’economia e non è escluso che, se questi dovessero essere negativi, la Bank of England possa intervenire varando operazioni di stimolo.
C’è poi una ragione più tecnica. Il Britain's Debt Management Office (l’autorità che ha responsabilità sul debito pubblico britannico) ha comunicato che quest’anno ci saranno emissioni di titoli per un controvalore di 115,1 miliardi di sterline. Il più basso valore dalla crisi finanziaria ad oggi ed un dato inferiore di 30 miliardi rispetto all’anno scorso. La prospettiva di una minore offerta di titoli sul mercato primario potrebbe aver favorito una corsa agli acquisti sul mercato secondario contribuendo alla risalita dei prezzi e al calo dei rendimenti.
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