Finanza & Mercati

Ecco le 114 banche italiane a rischio per le sofferenze

  • Abbonati
  • Accedi
istituti in difficoltà

Ecco le 114 banche italiane a rischio per le sofferenze

(Agf)
(Agf)

La banca di credito cooperativo di Teramo non ce l’ha fatta. Crollata sotto il peso abnorme delle sofferenze e degli incagli è stata salvata, l’estate scorsa, dalla consorella, la Bcc di Castiglione che l’ha rilevata non senza l’aiuto del Fondo di Garanzia delle Bcc. Fine ingloriosa, ma da tempo annunciata, dato che la ex Bcc di Teramo spiccava in cima alla lista delle banche italiane (vedi tabella) con il più alto tasso di Npl in rapporto al patrimonio. Nel caso di Teramo quel valore era lunare. I crediti malati netti (dopo quindi le svalutazioni con perdite già effettuate) erano arrivati a valere quasi 8 volte il capitale della banca. Una cosa da brividi, da crac intrinseco. Ma la piccola banca teramana è in buona compagnia.

Secondo la certosina ricognizione sui bilanci bancari (quasi 500 banche) del sistema italiano condotta dall’Ufficio Studi di Mediobanca emerge, tra le altre cose, che sono ben 114 gli istituti di credito (uno su 5) in cui il peso dei crediti malati è tale da far accendere più di un semaforo rosso (vedi tabella in fondo). In quelle 114 banche (per lo più Bcc e casse rurali) infatti gli Npl netti superano il valore del patrimonio netto tangibile.

LE 24 BANCHE CON TEXAS RATIO SUPERIORE A 200
(Fonte: R&S Mediobanca su dati di bilancio 2015)

Quell’indice è noto agli addetti ai lavori come Texas ratio. Quando si supera il 100%, la banca scricchiola e occorre intervenire pena grossi guai. O si aumenta il capitale o ci si fa comprare da una banca più sana, o in alternativa, si cerca di vendere quella montagna di Npl, sapendo che la loro cessione libererà il bilancio a spese però di nuove maxi-perdite.

Infine si può chiedere qualche forma di aiuto esterno che nel caso delle Bcc significa fare appello al Fondo consortile di garanzia e nel caso delle Spa la stampella pubblica come capitato a Mps e alle due ex popolari venete che figurano appunto tra le prime nell’elenco delle 114 banche a rischio default, dato il peso insostenibile dei crediti non rimborsati. Del resto quel lungo elenco mostrava già a fine 2015 situazioni che rischiavano di implodere e comunque situazioni in cui qualche interevento in extremis andava necessariamente adottato.

Non è un caso che dietro la primatista banca di Teramo spicchi la Cassa di risparmio di Cesena, in crisi profonda da tempo come rivela quel peso, non sopportabile senza interventi straordinari, di Npl che valevano qusi 6 volte il capitale. Che la crisi sia palese è sotto gli occhi di tutti. Pochi giorni fa il Fondo interbancario di tutela dei depositi ha fatto sapere che non intende partecipare alla ricapitalizzazione nè di Cesena e neppure della cassa di Rimini e di quella di San Miniato, altre due sorvegliate speciali da tempo. Il Fondo è solo disponibile a partecipare al deconsolidamento degli Npl, ma non intende mettere nuovo capitale. E il tema è proprio di chi è disposto a mettere risorse patrimoniali nuove in banche oggettivamente sul filo del rasoio. Con percentuali di prestiti malati che superano, per le prime 24 banche della tabella, addirittura 2 volte il capitale, i nuovi possibili investitori sono difficile da reperire. Chi rischia dei soldi sapendo che quella zavorra condizionerà per lungo tempo i bilanci di quelle banche?

Il tema è spinoso e di difficile approccio. Qual è l’effetto di una mole così imponente di sofferenze e incagli? In primis è sul conto economico per poi finire sul capitale. Quegli Npl vanno metabolizzati e svalutati ogni anno che passa. E l’impatto delle rettifiche sui crediti malati, quando lo stock è così alto, è devastante sui conti. Nel caso della Cassa di Cesena ad esempio, solo le perdite sui crediti sono costate nel 2015 il 260% del totale dei ricavi. Se si aggiungono i costi operativi della banca si ottiene un valore che supera 3 volte i ricavi totali della banca. Si lavora, si fa fatturato sapendo che si andrà comunque in perdita secca. Un destino che accomuna quasi tutte le banche in cui il peso degli Npl supera la soglia del 100% del capitale. Rettifiche e costi operativi finiscono per essere più elevate dei ricavi con le perdite che diventano così automatiche. E soprattutto si accumulano anno dopo anno. E ogni volta che si chiude il bilancio in rosso viene depauperata una parte del patrimonio. Una sorta di spirale perversa. Più hai masse di crediti inesigibili, più devi mettere in conto perdite. Queste si mangiano il capitale e quel rapporto già compromesso con lo stock di sofferenze finisce per aumentare anzichè diminuire. I soci chiamati a mettere denaro diventano sempre più recalcitranti, il valore del titolo ovviamente si deprezza e nei casi di crisi che si fa conclamata si finisce anche per avere la fuga dei depositi con i clienti-soci che spostano i loro risparmi in banche più affidabili. Un bel rebus difficile da risolvere. Salvo gettare la spugna e chiedere che qualcuno dall’esterno venga a salvarti.

© Riproduzione riservata