La “guerra dei mondi” tra il sistema bancario tradizionale e le fintech (società innovative che utilizzano informatica e web per offrire servizi finanziari, spesso senza l'intermediazione delle banche) si arricchisce di un nuovo episodio. L'Office of the Comptroller of the Currency (OCC), autorità che sovraintende alla banche nazionali statunitensi, ha infatti diffuso pochi giorni fa una bozza di regolamento per consentire alle fintech di richiedere una licenza bancaria valida in tutto il paese. Non sarà più necessario quindi avviare un'apposita procedura per ogni stato in cui la società è operativa. Una decisione che al di là dell'importante valore pratico ha un grande rilievo simbolico ed è coerente con un atteggiamento dell'amministrazione Trump tutto sommato ben disposta verso questa nuove realtà del mondo finanziario.
Come spiega l'OCC l'obiettivo di questa epocale apertura è duplice. Da un lato promuovere la modernizzazione, la concorrenza e l'efficienza del sistema bancario statunitense, dall'altro estendere anche alle fintech alcuni requisiti patrimoniali e regolamentari posti a tutela dei consumatori e della stabilità del sistema. Tecnicamente quella che l'ufficio mette a disposizione è una licenza speciale (special purpose national bank) che abilita i richiedenti solo ad alcune funzioni bancarie. In particolare non prevede la possibilità di raccogliere depositi dalla clientela con la copertura dell'assicurazione che protegge i conti correnti del sistema bancario tradizionale.
Per l'universo in tumultuosa evoluzione delle fintech la licenza può essere vista come un'arma a doppio taglio. Ha il valore del riconoscimento ufficiale, amplia le possibilità operative del settore ma al contempo sottopone società agili e snelle a più stingenti requisiti patrimoniali e di liquidità oltre che ad una supervisione più attenta. È un passaggio obbligato per crescere, ma le modalità con cui verrà perfezionata la bozza faranno la differenza. Sarà importante vedere quanto saranno severi e rigorose le richieste a cui dovranno sottoporsi gestori di moneta digitale, di pagamenti o di money trasfer, portali specializzati in prestiti peer to peer (ossia senza l'intermediazione di una banca) e quant'altro.
“L'Office of the Comptroller of the Currency (OCC) mette a disposizione è una licenza speciale (special purpose national bank) che abilita i richiedenti solo ad alcune funzioni bancarie, ma non a raccogliere depositi assicurati dal Fondo interbancario”
I precedenti negli altri paesi
La Svizzera ha introdotto una licenza per le fintech con requisiti patrimoniali meno severi rispetto alle banche tradizionali ma proibendo però loro di investire il denaro ricevuto dai clienti ed operare una “trasformazione delle scadenze” (raccogliere depositi a breve termine ed effettuare prestiti a lungo termine, attività tipica delle banche tradizionali). Un approccio criticato dal mondo delle società finanziarie digitali perché sostanzialmente applica valutazioni relative alla solidità e solvibilità che sono proprie del “vecchio” mondo bancario senza riconoscere le specificità operative del settore.
Un quadro regolamentare amichevole, almeno nelle intenzioni iniziali, per le fintech è stato delineato anche da Singapore e dalla Gran Bretagna. Nell'Unione europea diventerà pienamente operativa entro il 2018 la nuova direttiva sui pagamenti (PSD2) che prevede per le banche l'obbligo di consentire a terze parti di accedere e movimentare il conto corrente di un loro cliente se quest'ultimo le autorizza. Potremo insomma gestire conti e investimenti utilizzando un'applicazione sviluppata da un soggetto che non è la nostra banca. A breve l'Ue pubblicherà gli esiti di una consultazioni sull'impatto delle fintech sul settore mentre la Commissione ha appena presentato un piano d'azione incentrato sulle novità informatiche e tecnologiche.
E in Italia?
Stanno già avendo un buon successo nel nostro paese le applicazioni che consento di trasferire denaro attraverso gli smartphones. L'estate scorsa il fondo Sator di Matteo Arpe ha lanciato insieme a Banca Profilo “Tinaba”, acronimo che sta per This is not a bank. E infatti non servono nè conti correnti nè carte di credito. L'applicazione gratuita permette di pagare con il telefono qualsiasi prodotto acquistato in un esercizio commerciale che aderisce al network. Inoltre è possibile trasferire piccole somme di denaro tra utenti e creare casse comuni ricalcando il modello dei gruppi whatsapp. Nel frattempo Jiffy, un servizio sviluppato dal gruppo Sia, per i trasferimenti di denaro tra persone attraverso lo smartphone, ha raggiunto in Italia i 4,2 milioni di utenti.
Qualcuno ha definito le fintechl'Uber del mondo della finanza. Il paragone che al momento pare un poco esagerato. È vero che il settore cresce in modo esponenziale con investimenti passati da 1,8 a 24 miliardi di dollari in cinque anni solo negli Usa ma per ora in valori assoluti ma la quota di giro d'affari sottratta al sistema bancario tradizionale è per ora modesta. Non bisogna sottovalutare il fatto che la potenza delle lobby bancarie è altra cosa rispetto a quella dei tassisti e avrà un suo peso nella messa a punto delle condizioni con cui nuovi soggetti potranno accedere al mondo del credito. Diverse fintech europee hanno ad esempio segnalato pressioni del mondo bancario per ottenere una versione più restrittiva della nuova direttiva sui servizi di pagamento.
Non solo, sinora il destino delle fintech più promettenti è stato quello di venire acquisite da colossi della finanza come Allianz o Blackrock. Oppure da giganti del web con immense capacità di profilazione degli utenti come Facebook o Google che stanno “fiutando” l'appetibilità del settore finanziario come area di espansione dei loro business. Le fintech sono state quindi sinora più che altro portatori di innovazione all'interno di un “vecchio” mondo più che i suoi smantellatori. Tutto accade e cambia molto in fretta ma non è detto che in molti casi la “guerra” non si possa concludere con una pace vantaggiosa per entrambi i contendenti.
© Riproduzione riservata