Le due banche venete corrono sul filo del rasoio e lo faranno ancora per molto tempo. Il capitale (che manca) è la conditio sine qua non per la sopravvivenza e i fari ovviamente sono oggi tutti puntati lì.
Ma gli osservatori più attenti sanno che quello del salvataggio pubblico, con la ricapitalizzazione da oltre 6 miliardi calcolata finora per ripristinare i ratio patrimoniali per ambedue, è solo il primo passo. Indispensabile ma che non chiude con le forti preoccupazioni sul futuro. Da subito infatti occorrerà mettere mano al business delle due banche. Che mostra segni di cedimento strutturale imponenti. L’operatività fa acqua da tutte le parti. Il dato più eclatante è la caduta rovinosa dei ricavi nel 2016.
Persi un terzo dei ricavi
La Popolare di Vicenza ha perso per strada solo nel 2016 il 31% dei ricavi scesi a 720 milioni. Veneto Banca ben il 37% anch’essa crollata da 1,1 miliardi di margine d’intermediazione a soli 721 milioni.
È la coda perversa della lunga crisi e della distruzione di reputazione seguita all’azzeramento dei soci. Quei 200mila soci-clienti che hanno visto andare in fumo per le gestioni disastrose targate Zonin e Consoli oltre 10 miliardi di capitale azionario. Clienti fuggiti, depositi in netto calo e quindi crediti tagliati pesantemente. Se scappano i depositanti si è costretti ad approvvigionarsi a condizioni più onerose e soprattutto si è costretti a fare un potente deleveraging, cioè tagliare gli impieghi. Tanto per dare un’idea nel 2106 i crediti alla clientela sono scesi per oltre 2 miliardi nella Vicenza e per oltre 4,5 miliardi a Montebelluna. E se abbassi i volumi con i tassi così bassi, inevitabile il crollo del margine d’interesse.
Non solo anche la gestione finanziaria e i ricavi da servizi sono calati pesantemente. Perdere un terzo e più delle entrate per una banca in un solo anno è devastante sul piano dei conti. Anche perchè sul lato dei costi si è fatto ben poco.
Costi fuori controllo
I costi operativi valgono per Vicenza il 95% del totale ricavi, mentre per Veneto banca siamo addirittura oltre il 120%, complice 205 milioni di oneri straordinari negativi. I due istituti come in un beffardo copione parallelo hanno visto l’anno scorso la loro redditività annullata solo dai costi diretti. Che senso ha fare banca se quello che incassi viene assorbito tutto dalla tua normale operatività?
La mazzata finale poi arriva da quella voce della svalutazioni dei crediti malati lasciati in eredità dalla vecchie gestioni che da sole pesano per oltre una volta e mezza quei ricavi, già annullati dai costi operativi. Inevitabili le perdite miliardarie per i due istituti. E c’è da farsi ben poche illusioni per il futuro, cosa di cui tutti, a partire dai nuovi vertici, hanno consapevolezza. Il passo delle rettifiche sui crediti malati che superano per ciascuna delle due banche il miliardo di euro non conoscerà anche nel 2017 soste o pause particolari.
C’è la Bce all’opera sulla revisione del portafoglio crediti e parte degli incagli matureranno a sofferenze e in ogni caso l’alto livello dei crediti deteriorati non promette una decelerazione delle svalutazioni anche in futuro. E così il sentiero diventa molto stretto.
Cura pesante
O il recupero della fiducia per le due banche, messe in sicurezza sul capitale permetterà di veder risalire i ricavi oppure la scure dovrà agire pesantemente sui costi. Mentre per i ricavi si tratta di una scommessa tutta sulla carta, sui costi la mano tocca ai nuovi vertici. Non si vuole fare macelleria sociale, dicono tutti in coro. Ma difficile pensare che con una struttura di cost/income così fuori equilibrio non si provveda a un intervento pesante. Si spera, anche per non infliggere altre ferite al territorio, che non siano solo sportelli ed esuberi a fare la parte del Leone della cura, ma si metta mano alle inefficienze gestionali. Che di sicuro sono molte, disseminate nelle pieghe di quei conti così rovinosi delle due ex popolare venete.
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