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Il più grande fondo obbligazionario del mondo? Si chiama Apple

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regina dei bond

Il più grande fondo obbligazionario del mondo? Si chiama Apple

Reuters
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Apple, quando si tratta di finanza, vanta già più d’un primato: è la regina della capitalizzazione di mercato, con un valore di Borsa che si avvicina agli 800 miliardi di dollari. Detiene anche il record, tre le aziende non finanziarie, della cassaforte di liquidità globale: trabocca di 257 miliardi di dollari, una cifra raggiunta grazie a un nuovo incremento nel trimestre appena concluso. Adesso può però rivendicare un nuovo exploit: proprio grazie alla necessità di impiegare adeguatamente e prudentemente una simile montagna di liquidità, è diventata nei fatti il più grande singolo fondo obbligazionario al mondo.

In obbligazioni corporate ben 148 miliardi corporate
Ben 148 miliardi dei suoi 257 miliardi in cassaforte, anzi, sono investiti soltanto in bond corporate. Un’idea della dimensione relativa? Gli asset del “fondo” Apple superano e basterebbero a rilevare l’intero portafoglio del Vanguard Total Bond Market Index Fund, calcolato in 145 miliardi. E in questo caso si tratta di titoli aziendali affiancati da derivati immobiliari e da obbligazioni governative. Di più: il Vanguard Total non è un protagonista come tanti in questo universo. E' ormai considerato il più grande fondo comune nel reddito fisso.

In portafoglio anche 53 miliardi di Treasury
La cassaforte globale di Apple, accanto ai bond aziendali, comprende anche titoli del Tesoro americano per 53 miliardi di dollari e 21 miliardi in bond garantiti da mutui. È gestita attraverso una sua speciale divisione, la Braeburn Capital, che ha sede a Reno in Nevada. Una divisione che fa automaticamente del colosso degli iPhone una potenza finanziaria teoricamente in grado di muovere i mercati, se lo volesse. In realtà, la sua strategia prescrive anzitutto sicurezza e un’esposizione a titoli a breve scadenza e giudicati tranquilli, rispetto alle scommesse più aggressive di primattori di Wall Street e dintorni.

Il nodo del rientro dei capitali
Per Apple, semmai, ci sono oggi crescenti ragioni per agire con cautela e prendere tempo. L’interrogativo maggiore riguarda la possibilità o meno di convenienti rimpatri di fondi dall’estero, dove Apple oggi conserva il 93% delle sue risorse liquide. Finora l’azienda di Cupertino non ha avuto motivo di pianificare significativi rientri nei confini, volendo evitare le alte aliquote ufficiali statunitensi e potendo finanziare altrimenti le sue esigenze - dai piani di buyback a dividendi ancora aumentati nell’ultimo trimestre - emettendo lei stessa bond assai ben accolti dagli investitori.

La riforma Trump
La prospettiva di un rimpatrio potrebbe tuttavia entrare di prepotenza in agenda nel prossimo futuro grazie alla drastica riforma delle imposte aziendali proposta dal Presidente Donald Trump. Il piano è ancora tutto da definire e da discutere e approvare da parte del Congresso. Ma l’idea, fin dalla campagna elettorale, è di offrire uno “sconto” per incentivare il rientro dei profitti che le grandi multinazionali statunitensi, soprattutto i colossi dell’alta tecnologia, tengono all'estero e che sono svettati a 2.600 miliardi di dollari. Trump ha proposto un’aliquota aziendale generale ridimensionata al 15% dal 35% e per il rimpatrio di capitali in passato aveva suggerito il 10 per cento.

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