«La tecnologia è un fenomeno che non va temuto bensì governato”. Brunello Cucinelli, fondatore e presidente dell'omonima azienda del lusso, nella sua società ha sviluppato e concretizzato un modello di business che lui stesso definisce di “capitalismo umanistico”. Un sistema dove l’obiettivo «è tenere sempre al centro l'uomo e dare la giusta dignità alla produzione manifatturiera».
Questo significa che l'innovazione hi-tech viene rigettata?
Assolutamente no. Io non sono contrario al progresso o all’innovazione. I nostri sarti, ad esempio, in alcuni casi utilizzano il laser per tagliare i tessuti. Tuttavia è fondamentale, almeno nel nostro settore, mantenere il focus sulle abilità artigianali; sulle competenze, manuali e non, che si sono tramandate di padre in figlio. Ovviamente, aggiornandole anche in funzione dei nuovi strumenti della tecnica.
Tuttavia la tecnologia aumenta la produttività. Non c'è il rischio, per l'impresa, di perdere competitività?
Si tratta di capire di cosa si parla quando usiamo il vocabolo produttività. In una catena di montaggio industriale la considerazione ha un senso. La digitalizzazione, che è il vero nuovo fenomeno trasversale all’economia, impone invece valutazioni differenti. Siamo realmente sicuri che, ad esempio, l’uso delle
“«La tecnologia è importante ma deve essere mantenuta la responsabilità sociale d’impresa»”
e-mail implichi l’incremento della produttività? Io quando ho bisogno che i miei collaboratori si confrontino preferisco lo facciano a “vis a vis”. Il confronto umano tra le persone è essenziale. Certo: nel nostro settore, quello della moda e del lusso dove la creatività è una parte essenziale, l’approccio descritto può essere facilitato. E però: in un mondo dove la connessione in rete, sempre ed ovunque, è diventata la normalità il tema, ad esempio, della concentrazione sul posto del lavoro non può essere messo in un angolo. Lo ribadisco: la tecnologia è importante ma, da una parte, non deve imporre cambi di business model; e, dall'altro, deve essere governata.
Già: governare la digitalizzazione, l'automazione. Facile a dirsi difficile a farsi…
Non sono d’accordo. La mia azienda ne è un esempio. Noi lavoriamo con un indotto di circa 330 tra piccole e micro imprese che impiegano intorno a 3.700 persone. Realtà che si sono tramandate, di padre in figlio, competenze ed abilità antiche. Essenziale è riconoscere loro i giusti profitti in modo tale che le nuove generazioni considerino quell’attività come economicamente favorevole e dignitosa. Si tratta di un tassello importante di quello che per me deve essere presente tra le caratteristiche dell’attività aziendale: la responsabilità sociale d’impresa.
Vale a dire?
Parlo del legame con il territorio, della tutela dell’occupazione. Di scegliere la strada di uno sviluppo economico-imprenditoriale sostenibile. Proprio attraverso l'uso maggiore della tecnologia potrei, ad esempio, trarre maggiore profittabilità dall’attività d’impresa. Così facendo, tuttavia, rischio di distruggere l’indotto industriale che ho descritto sopra. Io, lo ripeto, non sono contro l’innovazione tecnologica. Credo, però, fermamente nella necessità di un suo corretto utilizzo.
Il suo discorso, tuttavia, può obiettarsi che sia adatto soprattutto al settore della moda…
Non sono d’accordo. Certo: alcuni comparti, sotto questo profilo, possono essere agevolati. E, tuttavia, il tema è più a monte: bisogna anche decidere quale modello di sviluppo si vuole adottare. In Italia, ad esempio, il settore dei servizi, in cui la digitalizzazione ha indubbiamente maggiore impatto, è cresciuto molto. Al contrario quello industriale-manifatturiero ha perso terreno. Sono consapevole che si tratta di dinamiche più globali, non governabili solamente al livello di singoli Stati. Ciò detto sono convinto che bisogna recuperare maggiore dignità all'attività manuale in senso lato.
Può spiegarsi meglio?
I lavori a basso valore aggiunto avranno maggiore probabilità di essere avvicendati dai robot. Seppure anche in questi casi, voglio ricordarlo, la robotica tende a sostituire singole mansioni e non il mix d’attività che costituiscono un lavoro. Quindi la sua sostituzione non è così automatica. Ciò detto: altre attività saranno create, seppure, nell’immaginario collettivo, potranno essere considerate non di prestigio. E qui è l’errore. Cioè: bisogna recuperare l’idea che gli stessi piccoli lavori, magari manuali, hanno sempre la loro dignità. Ritorno quindi alla mia idea di base: è fondamentale, da un lato, dare rilevanza all’attività manifatturiera; e, dall’altra, spingere sempre di più sul miglioramento della sua qualità.
Un obiettivo, quest'ultimo, da raggiungere in che modo?
Essenziale è la formazione dei lavoratori. Un compito di cui l’impresa deve farsi carico. E che, eventualmente, può essere sostenuta attraverso agevolazioni fiscali. Si tratta di un’attività necessariamente continua e costante che permetta la contaminazione tra l’innovazione e la tradizione manuale-manifatturiera.
In concreto?
Pensiamo a una fabbrica che produce torni. Ebbene: da un lato è necessaria la presenza, e competenza, di ingegneri che gestiscano ad esempio la meccatronica. Cioè: il controllo algoritmico dello strumento. Dall’altro, però, ci deve essere lo stesso operaio o artigiano che conosce i segreti dell’attrezzo e del suo utilizzo. A fronte di ciò si riesce a fare incontrare, e mescolare, le due esperienze. L'innovazione viene gestita al fine di valorizzare l’uomo, l'individuo. E non viceversa.
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