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La Pop. Vicenza cerca un salvatore, Zonin invece stappa lo champagne

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La Pop. Vicenza cerca un salvatore, Zonin invece stappa lo champagne

Mentre la sua ex banca, su cui ha governato per 20 anni, è alle prese con il secondo impervio salvataggio della sua storia recente, Gianni Zonin, l'ex patriarca della Popolare di Vicenza stappa lo champagne.

O meglio lo fanno i suoi tre figli, Domenico, Francesco e Michele che governano, dopo che il patron si è spogliato di ogni bene pochi mesi dopo l'uscita dalla Banca, la storica azienda di famiglia, la Casa Vinicola Zonin. Due giorni fa infatti è arrivato l'annuncio che gli Zonin espanderanno la loro attività all'estero, precisamente in Cile, dove l'obiettivo è di arrivare a produrre in tre anni 600.000 bottiglie da distribuire in oltre 100 Paesi, a partire da Stati Uniti, Regno Unito, Cina e Italia.

Ma i fasti dell'azienda vitivinicola di famiglia non finiscono qui. Pochi giorni fa è stato depositato il bilancio di fine 2016 della società. Conti più che brillanti. L'anno scorso il fatturato a livello di Spa è salito a 151 milioni. Una crescita importante, dato che nel 2014 il giro d'affari si era fermato a 127 milioni. Anche la redditività è di tutto rispetto, con il margine industriale sui ricavi passato dal 4,5% del 2014 al 7% della chiusura del 2016. L'utile netto ha chiuso l'anno scorso a 3,8 milioni dai 2 milioni del 2015. E a livello consolidato i profitti netti portati a casa in quel di Gambellara valgono oltre i 5 milioni. La famiglia Zonin si conferma quindi tra i protagonisti di successo nel settore vinicolo italiano.

Meno bene come sappiamo è andata l'avventura del patriarca Gianni Zonin nella sua banca del territorio. Su di lui, indagato dalla Procura e inseguito da un'azione di responsabilità che ha chiesto ai vecchi vertici un miliardo e mezzo di danni, è ormai tempesta fitta da quando, nel novembre del 2015, fu costretto ad abbandonare la poltrona di regia della banca da lui governata per un ventennio.

Gianni Zonin però non è stato a guardare prostrato dagli eventi. Ha da subito contrattaccato alle accuse che lo indicano tra i protagonisti del dissesto.

Ecco in sintesi l'autodifesa di Zonin che ha citato a sua volta in giudizio la banca. I crediti dati a chi non era palesemente in grado di rimborsarli? Lui non c'entra, c'era la direzione crediti a deliberare. La svalutazione del titolo fino ad azzerarlo? È accaduto per la severità della Bce e poi c'era la perizia del tecnico indipendente a certificare la bontà del valore della banca. I famosi finanziamenti baciati, correlati cioè all'acquisto di azioni? Faceva tutto l'ex direttore Samuele Sorato e l'ex vice direttore Giustini all'insaputa del Cda e quindi del presidente. Che non a caso, scoperto l'arcano, ha subito messo alla porta il top manager.

La sostanza per Zonin pare non avere posto alcuno. E la sostanza, al di là del duello formale su cavilli e deleghe varie che vedrà impegnato l'ex padre-padrone contro la sua stessa banca e i suoi direttori citati a giudizio, è quella di un crac colossale. Un istituto crollato bruciando 6 miliardi di valore azionario in un falò che ha coinvolto oltre 100mila soci e che lascia come eredità un grave malato salvato una prima volta dal Fondo Atlante e ora prossimo all'ingresso dello Stato nel capitale. Che nonostante oltre 3 miliardi di perdite in meno di tre anni viaggia ancora con un cumulo di prestiti a rischio di rientro che valgono tuttora quasi 5 miliardi, il 22% dell'intero portafoglio.

Ma per Zonin poco importa. Lui ha ribadito nei mesi scorsi, dopo l'ok dell'assemblea all'azione di responsabilità , che «ha operato in tutti questi anni con dedizione, correttezza e onestà e .. con la distribuzione ai soci per 17 anni sotto la mia presidenza di consistenti utili». Peccato che le perdite per oltre 3 miliardi abbiano vanificato del tutto i mirabolanti utili, dato che valgono da soli più del doppio dei profitti fatti in 17 anni. Zonin può replicare che sono avvenute in buona parte sotto la nuova gestione. Vero sul piano formale, ma la sostanza dice che quelle perdite sono il frutto della pulizia delle sofferenze e degli incagli tenuti per anni (sotto la sua presidenza) in bonis quando erano invece da svalutare. Potrà replicare che non era lui che redigeva il bilancio. E si potrebbe continuare all'infinito. Non partecipava al processo di erogazione dei prestiti? Strano, dato che per i crediti erogati dalla banca a se stesso e alla sua famiglia (41 milioni di euro) l'organo deliberante è stato il Cda che Zonin stesso presiedeva.

E sarà una mera coincidenza, ma perché girare pochi mesi dopo la sua uscita dalla banca le sue quote di capitale nell'accomandita di famiglia ai tre figli, spossessandosi di ogni bene patrimoniale? Un passaggio generazionale si dice. E questo vale anche per la casa vinicola che porta il suo nome e che produce utili e ricavi crescenti.

Gianni Zonin non compare infatti più tra i soci. L'anziano capofamiglia aveva una quota personale del 5,4% fino al 2015, poi dal 2016 scompare. Oggi la Casa vinicola ha come soci di controllo i tre figli con quote personali del 9% ciascuno, il 25% è in capo alla Gianni Zonin sas l'accomandita che vede il figlio Domenico come referente, mentre un altro 34% è posseduto dalla Mobiliare Montebello altra azienda di famiglia. Non c'è più il capofamiglia, ma compare la moglie Silvana Zuffellato che con la sua società personale, la Tenuta Rocca di Montemassi, mantiene da sempre il 7,2% della casa vinicola. Del resto che la scomparsa formale di Gianni Zonin dagli albi della principale attività della dinastia vicentina non sia una novità lo dicono le date e gli atti. Così come ha ricordato il Corriere della Sera alle 17 di lunedì 7 marzo, Gianni Zonin, la moglie, i loro tre figli e due testimoni hanno suonato al campanello del notaio Rizzi. E lì hanno siglato i contratti sulle holding al vertice del gruppo: la «Gianni Zonin Vineyards sas» e la «Zonin Giovanni sas».

«Il sig. Zonin Cav Lav. dr. Giovanni – è scritto – dichiara di trasferire ai propri figli (…) la propria quota di partecipazione (…) sia per la piena proprietà che per il diritto di usufrutto vitalizio, e ciò mediante la stipula di un patto di famiglia», istituto giuridico disciplinato dal codice civile. Sulle quote delle due società viene stabilito un valore di 12,5 milioni che però resta sulla carta, non è una contropartita. Di fatto è come una donazione e Gianni Zonin garantisce che le sue azioni sono «libere da pegni, oneri, sequestri, pignoramenti e vincoli di qualsiasi genere». Lui, l'ex dominus della banca vicentina, non ha più beni patrimoniali, anche se si dovessero accertare responsabilità e danni da rimborsare non ci sarà niente da recuperare. Che il destino del banchiere non si addicesse al grande imprenditore vinicolo lo dimostrano gli eventi. Resta la buona e sana azienda vinicola conosciuta in tutto il mondo. Forse era meglio continuare a fare solo vino. Lì Zonin non ha sbagliato un colpo.

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