L’Opec alleata dello shale oil nel contenere l’offerta di petrolio. Lo scenario è ai limiti dell’assurdo, ma l’Organizzazione degli esportatori di greggio continua a riproporlo. E questa volta potrebbe trovare terreno fertile.
Dagli Usa non otterrà mai un deliberato taglio di produzione, ma oggi i frackers per una serie di motivi stanno rallentando l’attività.
È proprio a loro che Mohammed Barkindo, segretario generale dell’Opec, è tornato a rivolgersi: «Esortiamo i nostri amici nei bacini di shale del Nord America ad assumere questa responsabilità condivisa con tutta la serietà che merita».
Non è un appello nel vuoto. Barkindo ha rivelato alla Reuters che sta preparando un nuovo incontro con compagnie indipendenti ed hedge funds, aggiungendo che i produttori Usa «al momento concordano di avere una responsabilità condivisa nel mantenere la stabilità del mercato, perché neppure loro sono isolati dall’impatto del ciclo ribassista».
Barkindo ha già avuto colloqui con le stesse categorie almeno una volta in passato: in marzo a Houston, in Texas, aveva visto tra gli altri il ceo di Continental Resources, Harold Hamm, e quello di Pioneer Natural Resources, Scott Sheffield, ora in pensione.
In seguito Hamm ha esortato i produttori di shale oil a moderare la crescita per non «uccidere il mercato».
Pioneer (oggi guidata da Tim Dove) ha invece incontrato difficoltà estrattive che l’hanno indotta a rallentare l’attività. La sua situazione peraltro non è isolata: un mix di problemi tecnici, rialzo dei costi e pressioni degli investitori – che finalmente chiedono una maggiore redditività – ha in effetti messo un freno alla crescita dello shale oil.
L’Opec non c’entra. Ma forse un giorno lo rivendicherà come una vittoria.
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