Sono i fenomeni del 2017. Sarà per il fatto che con i tassi a zero i risparmiatori hanno bisogno di nuove opportunità oppure sarà per l'aggressiva politica commerciale delle banche, una cosa è certa: i Pir, cioè i Piani individuali di risparmio, sono la moda finanziaria del momento. Per questo, a un anno dalla loro nascita, è giusto porsi qualche domanda: i Pir sono davvero l'Eldorado del risparmio? Se le opportunità sono ben evidenziate dai consulenti finanziari, quali sono i rischi? Il Sole 24 Ore, confrontandosi con operatori del mercato, esperti e istituzioni, cerca di rispondere a queste domande. E ad analizzare, senza pregiudizi né infatuazioni, tre pro e tre contro di questi nuovi fenomeni della finanza italiana.
Pro 1: il beneficio fiscale
I Pir sono strumenti d'investimento che hanno due caratteristiche distintive. Uno: sono detassati. Due: sono stati creati con l'obiettivo di far confluire parte dei risparmio degli italiani nelle piccole e medie imprese del Paese. Per questo i Pir devono investire i soldi dei risparmiatori almeno per il 70% in azioni o obbligazioni italiane (o di aziende europee con stabile organizzazione in Italia), e di questo 70% il 30% (che equivale al 21% del totale) in aziende medio-piccole. Il primo vantaggio per chi investe in Pir è dunque ovvio: la totale detassazione. I risparmiatori non pagano né la tassa di successione né quella sul capital gain (che sarebbe al 26%) se - solo se - tengono il Pir per almeno 5 anni. Si può disinvestire prima, ovvio, ma in tal caso si pagano le tasse come per qualunque fondo. Il beneficio fiscale va a migliorare la performance effettiva dei Pir rispetto a quella di normali fondi comuni che invece sono costretti a pagare le tasse.
Pro 2: il patriottismo economico
Come chi acquista un'auto elettrica in un'ottica ecologista, anche chi investe in Pir lo fa per un motivo “etico”: sostenere l'economia italiana. Gli italiani hanno una ricchezza finanziaria (esclusi gli immobili) di 4.228 miliardi di euro secondo Bankitalia. Eppure poco di questo patrimonio viene investito nell'economia reale. E neppure gli investitori istituzionali italiani mettono soldi nel loro Paese: si pensi - per fare un solo esempio - che i fondi pensione nazionali mettono solo il 3% del loro patrimonio in azioni o obbligazioni di aziende italiane. Questo è un problema, perché condanna le aziende italiane all'asfissia finanziaria e alla dipendenza dalle banche. Investire in Pir, invece, significa sostenere proprio le imprese italiane medio piccole. Calcola AdviseOnly che quest'anno - in parte grazie al successo dei Pir - sono sbarcate in Borsa 4 aziende ogni 2 mesi, contro una media degli ultimi 22 anni di una ogni due mesi. Questo significa che più imprese hanno trovato capitali fuori dalla banca.
Pro 3: l'educazione finanziaria
L'Italia è un Paese con una bassa cultura finanziaria. Secondo uno studio di Standard & Poor's, in Italia solo 38 adulti su 100 hanno un minimo di competenza in materia finanziaria. Molti meno dei 40 cittadini dello Zambia, dei 41 dello Zimbabwe o dei 40 della Tanzania. E anni luce da Usa (57) e Gran Bretagna (67). Ma i Pir possono, in via indiretta, insegnare qualcosa di fondamentale agli italiani: per investire in Borsa bisogna avere un'ottica di medio-lungo termine. Il fatto che i Pir incentivino l'investimento in un'ottica almeno quinquennale, permette da un lato alle imprese di avere fondi stabili e dall'altro ai risparmiatori di evitare pericolosi - per chi non è esperto - mordi e fuggi.
Contro 1: le commissioni
Abbiamo visto che il primo vantaggio di investire in Pir è fiscale. Il problema è che alcune banche applicano commissioni così elevate (fino al 6%) che finiscono per annullare o ridimensionare il beneficio fiscale per i risparmiatori. Raffaele Zenti di AdviseOnly ha fatto alcune simulazioni su due prodotti ipotetici e uguali: un Pir e un fondo non-Pir entrambi bilanciati. Partendo dalle commissioni di gestione medie (1,6% per i Pir secondo Mediobanca Securities e 1,4% per i non-Pir), i primi risultano molto convenienti grazie al beneficio fiscale. E più la performance del portafoglio sale, più il vantaggio diventa consistente. Se però la commissione di gestione del Pir arrivasse al 2,3%, con una performance del 5% il beneficio fiscale del Pir verrebbe annullato rispetto al fondo non-Pir. Attenzione dunque: leggere attentamente le avvertenze prima di sottoscrivere un Pir.
Contro 2: scarsa diversificazione
Come visto, sui Pir si può investire solo 30mila euro l'anno per 5 anni. Ma 150mila euro non sono uguali per tutti: se un risparmiatore ha un patrimonio di 200mila, per fare un esempio, investirne 150 in un unico strumento non è saggio. Anche perché i Pir, per vocazione, puntano gran parte dei soldi in Italia: questo rischia di creare una concentrazione dei rischi. È bene dunque che i risparmiatori, se decidono di investire in Pir, lo facciano in un'ottica di diversificazione: solo una piccola parte del proprio - piccolo o grande che sia - patrimonio.
Contro 3: il rischio bolla
Sui Pir sono arrivati più soldi di quanto previsto. E promettono di raccogliere ancora tanto in futuro. Questa montagna di denaro è finita in parte su fette del mercato di Borsa da anni dimenticate: come l'Aim, cioè il listino di Piazza Affari dedicato alla piccole imprese. Questo ha causato un rally molto forte delle quotazioni all'Aim che - come si vede nel grafico - era un listino poco performante in passato se confrontato con l'indice Ftse Mib delle grandi aziende. Nell'ultimo anno però il rally è stato consistente: da gennaio l'Aim ha registrato una performance quasi doppia rispetto al listino principale. Questo è un rischio: se non aumenteranno le aziende quotate, non si può escludere che all'Aim si crei una bolla speculativa dovuta a troppi soldi caduti su un mercato troppo piccolo.
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