Ancora il Venezuela, ancora il braccio di ferro politico con gli Stati Uniti e ancora lo spettro di un default. Che potrebbe scattare per 80 milioni di dollari. Proprio così, 80 milioni, non miliardi. Una cifra ridicola, se si pensa che la scorsa settimana Pdvsa (la società energetica venezuelana) ha pagato debiti per 2 miliardi di dollari, scongiurando così la «cessazione di pagamenti». Lunedì sarà il giorno clou. Un ammontare molto esiguo, 80 milioni di dollari, se si pensa che il default dell’Argentina, nel 2001, fu di 130miliardi di dollari.
Tutto lascerebbe dedurre quindi che il pagamento di cedole in scadenza oggi venga onorato. Peccato però che la partita sia ben più complessa e gli Stati Uniti, o almeno i mercati finanziari americani, sembra vogliano contribuire a dare una spallata a Nicolas Maduro, presidente del Venezuela. Che, per parte sua, non lesina gravi danni economici al proprio Paese, annientato da un’inflazione del 700% annuo con una popolazione impegnata a fronteggiare una vera e propria crisi alimentare.
Insomma un intreccio di crisi politica interna, crisi finanziaria internazionale e un rapporto con gli Stati Uniti molto deteriorato.
Il governo americano è intervenuto in modo tutt'altro che discreto: il Tesoro mette in guardia gli americani che possiedono titoli di stato del Venezuela: i negoziati sul debito potrebbero rivelarsi più problematici del previsto e potrebbero portare a nuove sanzioni nei confronti di Caracas.
Il presidente venezuelano Maduro ha incaricato il suo vice, Tareck El Aissami, di occuparsi della trattativa, che nei giorni prossimi dovrà ristrutturare o rinegoziare il debito estero del Venezuela in mano ai privati. Ma El Aissami - che ha convocato una riunione di creditori per lunedì prossimo, a Caracas - è sulla «lista nera» del governo degli Stati Uniti per presunti legami con il narcotraffico. Così come anche Simon Zerpa, segretario all’Economia del Venezuela e responsabile delle finanze della petrolifera statale Pdvsa, sospettato di corruzione. Secondo analisti di Wall Street, le avvertenze del Dipartimento del Tesoro contribuiscono a rendere ancora più difficile una ristrutturazione del debito estero venezuelano in mano ai privati.
Se Pdvsa superasse indenne le prossime settimane, senza cadere in default, le prossime scadenze, questa volta inerenti il debito sovrano del Venezuela - non quello di Pdvsa – sarebbero lontane: nell’agosto e nell’ottobre 2018, per un totale di 1,5 miliardi. Quella successiva è l’ottobre 2019, per 2,5 miliardi. A fine 2018 vi saranno però le elezioni presidenziali e Maduro si presenta con varie criticità, oltre all’inflazione: nel 2017 il crollo del Pil dovrebbe essere del 12% e quello del 2018 del 6%. L’unico salvagente potrebbe essere il rialzo del prezzo del petrolio, quell’unica, preziosa, risorsa che il Venezuela non sa fare fruttare per garantire una sopravvivenza dignitosa ai suoi 31 milioni di abitanti.
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