Chiudono round da centinaia di dollari, hanno tassi di crescita da far impallidire le startup europee e aspettano il momento giusto per approdare in Borsa. Sono le ex startup targate Usa che popolano la pipeline delle future Ipo del tech. Una carica di 355 società che dal 2000 ad oggi hanno raccolto da fondi di venture capital, da hedge fund e investimenti privati circa 104,6 miliardi di dollari in oltre 1.900 deal, secondo i dati elaborati da Cb Insight. Gli ultimi tre anni, in particolare, hanno registrato un’accelerazione delle raccolte di investimenti, che ha portato il totale a 75 miliardi di dollari dal 2015 al 2017.
La fiducia dei venture capital ha dato le ali a business che hanno conquistato il mercato, tanto che 32 di queste società sono entrate nel 2015 nel club dei miliardari. Ad oggi 17 di loro valgono oltre un miliardo guadagnando così sul campo il titolo di unicorni. Certo non tutte debutteranno a Wall Street il prossimo anno, anche perché su 355 totali molte sono quelle che hanno da poco superato la valutazione dei 100 milioni. Le attese del mercato sono positive e ci si attende che il 2018 possa assistere a una nuova ondata di debutti, dopo le Ipo 2017 come Roku da 1,3 miliardi, MongoDB da 1,2 miliardi, Stitch Fix da 1,4 miliardi e Rovio da un miliardo.
Dalle tasse agli eventi
Zuora, Apttus, Stripe, Rubrik, SurveyMoney sono solo alcune delle società che potrebbero pensare alla Borsa. Diverse hanno già vagliato da tempo il progetto e dato il mandato agli advisor. Fra queste Avalara, che, secondo le indiscrezioni, avrebbe già consultato le banche per preparare un’Ipo da un miliardo. La società di Seattle, specializzata in soluzione per la gestione e il pagamento delle tasse, ha chiuso un anno fa un round da 300 milioni provenienti da venture capital del calibro di Warburg Pincus, Sageview Capital e Battery Ventures.
È, invece, di Boston Acquia, che si sta strutturando per il debutto in Borsa a partire dal management, tanto che questo mese Michael Sullivan sostituirà nel ruolo di ceo Tom Erickson. La società di software, che ha raccolto 173,5 milioni di investimenti a oggi, è stata già inserita da alcune case di investimento, come Renaissance Capital, nella lista delle potenziali Ipo 2018.
Fra le big c’è anche chi ha fatto i soldi offrendo servizi gratuiti. È il caso di Credit Karma, che ha chiuso il 2016 con ricavi per 500 milioni e il raggiungimento della profittabilità. Fondata cinque anni fa, la società offre un check up delle finanze personali e suggerisce le migliori soluzioni offerte dal mercato per gestire carte, conti, mutui e qualunque altro prodotto finanziario. I vertici la definiscono un Expedia della finanza, che oggi conta 70 milioni di utenti con tassi di crescita di 1,5 milioni al mese. Negli Stati Uniti un millennials su due si rivolge a Credit Karma, che ha raggiunto i 700 dipendenti. La società ha chiuso questo autunno un round da 175 milioni di dollari, per una valorizzazione complessiva di 3,5 miliardi. Nel complesso i fondi raccolti da Credit Karma salgono così a 368,5 milioni grazie alle scelte di fondi come Global Management, Valinor Management e Viking Global Investors.
Anche la piattaforma di appuntamenti e ticketing Eventbrite ha raggiunto la valutazione di un miliardo e sta continuando a crescere anche attraverso acquisizioni. Per la società l’esercizio 2017 potrebbe chiudersi in utile, il che sarebbe un buon biglietto da visita per la quotazione. Nella stessa direzione si muove anche Databricks, piattaforma specializzata in big data che ha raccolto nell’agosto scorso 140 milioni per una valutazione attorno ai 740 milioni di dollari.
Sono solo alcuni esempi delle quotazioni a cui potremo assistere il prossimo anno. Certo numeri e valori sono lontani dalla realtà europea, ma le quotazioni Oltreoceano potrebbero comunque creare un clima positivo anche da questa parte dell’Atlantico.
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