Quando i tecnici dell’Eni hanno estratto i primi primi metri cubi di gas da Zohr – un test di produzione, in vista dell’avvio ufficiale del giacimento – l’Italia era ancora in stato di emergenza: solo una settimana fa un incidente all’hub austriaco di Baumgarten ci ha privato, fortunatamente solo per qualche ora, delle forniture dalla Russia, un evento improvviso, che ha riacceso il dibattito sulla necessità di diversificare le nostre fonti di approvvigionamento.
Ma se qualcuno stesse già facendo conto sul gas egiziano per alleviare la dipendenza da Mosca, farebbe meglio a ripensarci.
La scoperta del maxi-giacimento, in acque in cui altre compagnie avevano esplorato invano, e l’avvio della produzione in tempi da primato sono motivo di orgoglio per l’Eni. Ma a festeggiare – forse più ancora della compagnia italiana – è l’Egitto, che grazie a Zohr potrà riconquistare l’autosufficienza energetica e risanare le finanze dello Stato.
Le descrizioni iperboliche delle ricchezze di Zohr sono piene di riferimenti all’Italia. Le rilevazioni in fase esplorativa hanno mostrato un deposito «simile per dimensioni al massiccio del Sella, nelle Dolomiti», si legge sul sito dell’Eni. Le risorse di gas in sito sono pari a 10-12 volte i consumi di gas della Penisola e la produzione massima, che sarà raggiunta tra un paio d’anni, sarà paragonabile ai volumi che importiamo da Gazprom.
Tutto vero. Ma quel gas serve prima di tutto all’Egitto. Le esportazioni arriveranno solo quando (e se) ne avanzerà un po’. Il ministro del Petrolio e delle risorse minerarie, Tarek El Molla, è stato molto chiaro in proposito: il Cairo smetterà di importare Gnl a metà 2018 ed «eventualmente» tornerà ad esportare, ma solo in un futuro piuttosto lontano, oltre che incerto. «L’Egitto – ha dichiarato El Molla –continuerà ad acquistare le quote di produzione dei partner stranieri perché ne ha bisogno».
I consumi del Paese sono elevati: circa 135 milioni di metri cubi al giorno nel 2016, a fronte di una produzione intorno a 110 milioni di mc. E il fabbisogno cresce rapidamente. L’Egitto è il più popoloso tra i Paesi arabi, con 95 milioni di cittadini e un elevato tasso di natalità. Inoltre deve soddisfare i consumi industriali e la scoperta di Zohr ha risvegliato anche l’aspirazione di sviluppare nuovi impianti petrolchimici.
Il Cairo un tempo esportava gas via pipeline verso Israele e la Giordania, ma dal 2011 – l’anno della Primavera araba – aveva cominciato a sperimentare carenze e blackout, finendo con l’interrompere del tutto le vendite all’estero dal 2014.
L’entusiasmo per le nuove risorse è comprensibile . Ma se il gas egiziano non raggiungerà l’Europa, forse potrebbe spingere altre forniture verso il Vecchio continente.
Israele e Cipro hanno subito un duro colpo con la scoperta di Zohr. A scatenare la caccia alle risorse del Mediterraneo orientale erano stati i giacimenti rinvenuti al largo di questi due Paesi. L’Egitto era il cliente ideale: geograficamente vicino e affamato di gas.
Dopo Zohr bisogna bussare altrove per commercializzare le risorse (peraltro ingenti) di Leviathan e Tamar in Israele, così come quelle di Aphrodite a Cipro .
È così che rientra in scena l’Europa, con il progetto – sostenuto anche dall’Italia – del gasdotto EastMed, che dovrebbe collegare i giacimenti del mitico Bacino di Levante alle coste della Puglia, passando attraverso la Grecia: una conduttura sottomarina di 2mila chilometri, la più lunga del mondo. Il prezzo, intorno a 6 miliardi di euro, è considerato proibitivo da molti analisti. Ma la Commissione europea, ansiosa di attenuare la dipendenza energetica dalla Russia, potrebbe contribuire a finanziare l’opera.
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