Finanza & Mercati

Ai minimi le scoperte di petrolio e gas: rimpiazzato solo un barile…

  • Abbonati
  • Accedi
energia

Ai minimi le scoperte di petrolio e gas: rimpiazzato solo un barile su 10

(Agf)
(Agf)

Il prezzo del barile è ormai tornato sopra 60 dollari, ma l’onda lunga della crisi si fa ancora sentire sulle attività delle compagnie petrolifere, che quest’anno hanno registrato un minimo storico nelle scoperte di risorse convenzionali.

Al netto di shale oil e simili, sono stati ritrovati appena 6,7 miliardi di barili, stima Rystad Energy, ossia una media di 555 milioni di barili al mese tra greggio e gas, contro 645 mb al mese nel 2016 – già considerato un anno di magra – e circa 1,3 miliardi, sempre su base mensile, nei tre anni precedenti.

«Non avevamo mai visto niente di simile dagli anni ’40», commenta Sonia Mladà Passos, senior analyst della società di consulenza norvegese. «La cosa più preoccupante è il fatto che nell’anno in corso il reserve replacement ratio (il rapporto tra scoperte e produzione di idrocarburi, Ndr) ha raggiunto appena l’11% contro più del 50% nel 2012».

Negli ultimi mesi si registrano anche scoperte importanti, sottolinea Rystad, come quelle di ExxonMobil in Guyana (Payara, Turbot e Snoek) e di Kosmos Energy in Senegal (Yakaar). Altra frontiera importante è il Messico, che ha festeggiato la riapertura agli investitori stranieri con importanti successi esplorativi: Zama, Ixachi e altri campi minori aggiungono 1 mliardo di barili alle risorse recuperabili.

In generale la taglia media delle scoperte si è comunque ridotta: nell’offshore è scesa a circa 100 mb, dai 150 mb del 2012. Un problema ulteriore, spiega Passos, perché potrebbe scoraggiare le decisioni di investimento: «Nel nostro scenario base di prezzi, stimiamo che oltre un miliardo di barili scoperti durante il 2017 potrebbero non essere mai sviluppati».

Da molto tempo il picco della produzione di petrolio non spaventa più nessuno: oggi semmai si discute di quando la domanda smetterà di crescere. Nessuno però prevede che potremo presto fare a meno degli idrocarburi, nemmeno ipotizzando una diffusione impetuosa di auto elettriche, energie rinnovabili e batterie a supporto della rete. I consumi petroliferi, prima di avviare un graduale declino, si stabilizzeranno. E questo secondo le previsioni più ottimiste non avverrà prima del 2030.

Nel frattempo, per evitare una drammatica salita del prezzo del barile, sarà indispensabile trovare e sviluppare nuovi giacimenti. Se non altro per compensare il declino di quelli vecchi, che la crisi nel settore – che ha comportato tagli non solo agli investimenti, ma anche ai costi operativi e di manutenzione – sembra aver accelerato: entro il 2019 potremmo perdere fino a 9 milioni di barili di greggio al giorno, ha dichiarato di recente Ben Luckok di Trafigura.

Naturalmente ci sono anche lo shale oil e altre risorse non convenzionali, su cui l’analisi di Rystad sulle scoperte non si sofferma. Ma il loro contributo non sarà sufficiente, anche se negli i frackers sono tornati a spendere a piene mani, con risultati immediati sulla produzione. Negli Usa – proiettati l’anno prossimo a raggiungere 10 mbg di produzione – all’incirca due barili su tre provengono da aree di shale. Queste forniture tuttavia rappresentano non più del 6-7% dell’offerta globale. Non solo. I pozzi dello shale oil entrano in funzione in tempi brevi, ma si esauriscono anche rapidamente.

© Riproduzione riservata