Nel mondo del crowdfunding, Kickstarter e Indiegogo non hanno bisogno di presentazioni. Insieme hanno raccolto quasi 5 miliardi di dollari, facendo conoscere in tutto il mondo, grazie al loro successo, questo sistema di finanziamento dal basso.
Nato negli Stati Uniti verso la fine del primo decennio degli anni 2000, il crowdfunding ha raggiunto qui i suoi risultati migliori, grazie soprattutto all’attività delle due piattaforme fondate tra il 2008 e il 2009. Kickstarter in circa 10 anni di attività ha raccolto quasi 3 miliardi e mezzo di dollari per un totale di oltre 137mila progetti finanziati (a fronte di oltre 350mila presentati). Indiegogo (che non pubblica i risultati raggiunti) avrebbe raccolto invece, secondo gli esperti del settore, oltre un miliardo di dollari. Finanziamenti che, sommati a quelle di altri portali specializzati in singole industry, hanno portato, solo nel 2016, la raccolta totale negli Usa a 596 milioni di dollari per la parte reward, e a 569 milioni per la parte equity, secondo i dati Cambridge centre for alternative finance.
Si tratta di cifre enormi che non hanno paragoni con nessun altro mercato, nemmeno con quello europeo dove la nazione che ha raggiunto i risultati migliori è la Gran Bretagna. Qui, solo per fare un esempio, Crowdcube, la principale piattaforma di finanziamento del Paese, ha raccolto, dal 2011 a oggi, oltre 391 milioni di dollari, distribuiti per 630 progetti di successo. Poco rispetto ai competitor Usa, ma pur sempre numeri di tutto rispetto se confrontati con quelli italiani: 40 milioni raccolti nel 2017, secondo il rapporto Starteed. In Italia a essere diverse sono anche le regole di funzionamento per le piattaforme di crowdfunding. A differenziare il nostro Paese dal resto del mondo, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto equity (la parte reward non essendo normata è organizzata in modo simile dovunque), sono principalmente due aspetti. La prima peculiarità – ora eliminata – consisteva nel limitare l’accesso a queste fonti di finanziamento alle sole startup o alle pmi innovative. Un distinguo che non era presente in nessun altro Paese.
A differenziare il sistema italiano c'è inoltre il vincolo che prevede che il 5% della raccolta debba essere sottoscritto da investitori tradizionali (anche se nel tempo questa definizione ha finito per comprendere anche business angels e incubatori certificati). Tuttavia, ne sono convinti gli esperti del settore, non sono queste le ragioni del ritardo italiano. A condizionare la crescita di queste forme di finanziamento nel nostro Paese, sarebbe soprattutto un problema di mentalità, legato alla scarsa dimestichezza con l’utilizzo della Rete per fare investimenti o operazioni commerciali. Cosa che invece non accade negli Stati Uniti, dove l’abitudine a utilizzare, anche per le spese più piccole, prima la carta di credito e poi sistemi come PayPal, ha rappresentato un vantaggio competitivo.
Un vantaggio a cui si è unita la presenza di un folto numero di investitori privati – assenti invece nel nostro Paese - come famiglie e imprenditori che hanno deciso di puntare sul crowdfunding come forma di investimento. Al clima favorevole, e alla presenza di investitori si è poi aggiunta, nel caso statunitense, anche la capacità del mercato stesso di polarizzarsi in pochi grandi operatori. L’Italia, al contrario, conta oggi 22 piattaforme di equity crowdfunding, come ad esempio Mamacrowd, CrowdFundMe, StarsUp. Un numero troppo alto che contribuisce a disperdere risorse e ad alimentare un sistema fatto di operatori troppo piccoli e quindi poco competitivi.
© Riproduzione riservata