«Ritengo che qualunque ipotesi di riconfigurazione delle politiche industriali e delle policy per l’innovazione debbano ripartire non ripetendo banalità sul deficit ma necessariamente ridefinendo il ruolo dello Stato. Una ridefinizione che va compiuta senza timidezze psicologiche, culturali e politiche». Mariana Mazzucato ha il titolo di Professor in the Economics of Innovation and Public Value all’University College London, dove ha fondato e dirige l’Institute for Innovation & Public Purpose.
La sua critica verso il piano Calenda-Bentivogli pubblicato sul Sole 24 Ore riguarda la mancanza di una nuova visione: «Sul rapporto fra scuola e lavoro, credo che il punto non sia fare lavorare gli studenti in esperienze come McDonald’s, ma pensare a come rivalutare il liceo, che fornisce un curriculum di enorme qualità e di dissonante originalità rispetto agli standard internazionali. Neanche ad Eton studiano filosofia e storia dell’arte bene come nelle scuole pubbliche italiane: perché non valorizzare questa specificità nel contesto di un capitalismo moderno, più networked e digitale?». Mazzucato è autrice di The Entrepreneurial State, tradotto in Italia da Laterza con il titolo Lo Stato Innovatore, uno dei saggi più influenti degli ultimi anni in cui in cui ha indicato l’origine pubblica delle principali innovazioni del nostro tempo, quelle che hanno determinato un prima e un dopo nel Novecento e negli anni Duemila. «Non solo nell’articolo di Calenda e di Bentivogli, ma in generale nel dibattito pubblico italiano, credo che sia sottovalutato, se non trascurato, il ruolo dello Stato. Penso che, nel caso dell’Italia, questo sia anche in contraddizione con la nostra Storia. L’Italia ha avuto l’Iri. Nella sua prima fase, l’Iri era pubblica ma indipendente dal sistema politico e ha modernizzato il Paese. La sua classe dirigente era composta da manager competenti, efficienti e lungimiranti. Non bisogna essere schiacciati sull’ultima fase dell’economia pubblica italiana, fatta di perdite su perdite, di corruzione e di predominio dei partiti della Prima Repubblica. La prima Iri dimostra che anche in Italia è possibile, per la mano pubblica, essere visionaria ed efficace».
Nell’attuale ricomposizione del quadro politico, Mazzucato è seguita con considerazione da diverse formazioni politiche. Alcuni l’hanno indicata come un potenziale membro di un Governo dei Cinque Stelle, qualora i Grillini dovessero vincere le prossime elezioni politiche. Una ipotesi che Mazzucato ha smentito, dichiarandosi non interessata. In ogni caso, la sua voce di opinion maker da Londra è considerata fra le più autorevoli. E ha una eco rilevante sui social media. C’è l’Italia. E c’è l’Europa. Il Commissario europeo per la ricerca e l’innovazione è Carlos Moedas. Mazzucato è stata nominata special advisor per le “Mission Driven Science and Innovation”. «Il problema particolare italiano – nota Mazzucato – va inserito nel contesto generale comunitario. Nei prossimi tempi bisognerà definire le aree di intervento in cui l’Unione europea vuole essere competitiva, non disperdendo risorse ma concentrandole e costruendo iniziative ben focalizzate. Queste devono essere non settoriali, facilmente captured, ma devono riguardare problemi sociali e tecnologici come la crescita verde, che richiedono investimenti attraverso settori multipli. Lo Stato italiano avrà un beneficio dallo sviluppo di una dialettica coerente con il contesto comunitario e con le sue priorità. Ma, certo, bisogna prima di tutto ripartire da una idea precisa di quello che, come sistema-Paese, si vuole fare e da come lo si vuole fare».
In questa ricerca di una nuova vocazione per l’Italia, l’innovazione ha un ruolo fondamentale. Anche se in forme diverse rispetto a quelle finora assunte. Riflette Mazzucato: «In Italia l’intervento dello Stato continua a essere troppo basato sui sussidi e sugli incentivi indiretti che creano un rapporto parassitario fra Stato e industria. Gli sgravi fiscali sulla R&S e gli iperammortamenti, come anche le misure sul Patent Box, hanno poco effetto sull’investimento privato, se non vengono accompagnati da investimenti strategici che formano nell’industria delle vere aspettative di nuove opportunità di investimento. La spesa pubblica diretta, se fatta bene, non è un tabù. Non lo è in Germania. Non lo è negli Stati Uniti. Non lo deve essere nemmeno in Italia».
Mazzucato ha, dunque, una visione dissonante rispetto a quella che prevale nel dibattito italiano, che fa della riduzione del debito il perno del discorso pubblico: «Il deficit in Italia è stato storicamente più basso che in Germania, ma senza crescita il rapporto debito/Pil aumenta e il problema maggiore dell’Italia è l’assenza della crescita. E, senza la crescita, non si ripagano gli interessi sul debito. Bisogna modificare il punto di vista. Occorre ridurre gli sprechi statali, che sono ingenti. Ma bisogna anche creare agenzie e istituzioni statali che sappiano investire. La spesa pubblica in questa riattivazione della crescita è fondamentale. Oggi il tasso di investimento del pubblico è troppo basso. Esattamente come quello dei privati, che è inerziale: i sussidi e gli sgravi non rafforzano il Paese, ma creano un rapporto parassitario».
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