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Così la Ue vuole diventare il crocevia del fintech

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cantieri d’europa

Così la Ue vuole diventare il crocevia del fintech

L’obiettivo è ambizioso: trasformare l’Unione europea in un hub mondiale per il fintech. Il puzzle è tutto da costruire, ma i tasselli sono stati posati sul tavolo con un piano d’azione a firma della Commissione Ue pubblicato lo scorso 8 marzo. Bruxelles ha delineato un percorso in otto mosse e 23 passi in tutto e si candida come cabina di regia per monitorare, coordinare e preparare il terreno per possibili interventi legislativi o allargare il raggio di azione di quelli già esistenti con il coinvolgimento di tutti gli attori in gioco. Le misure annunciate, da qui a fine 2019, vanno dall’individuazione di nuove regole sulle criptovalute all’elaborazione di linee guida per il cloud passando per un Osservatorio sulla blockchain, fino all’interconnessione delle banche dati nazionali sulle informazioni pubblicate dalle società quotate.

Sarà proprio il fintech una delle prossime sfide del mercato unico, parte della più ampia strategia che prende il nome di Capital Markets Union, per abbattere le barriere alla libera circolazione dei capitali. «Tra tutti gli obiettivi che si è posto finora l’esecutivo Ue - dice Wilhem Pieter De Groen, responsabile dell’unità mercati finanziari del think tank Ceps - questo è sicuramente il più difficile da centrare perché il fintech è un enorme contenitore che copre diverse tecnologie con contorni non facili da definire perché le loro applicazioni nel settore finanziario sono in continua evoluzione. È presto per dire se l’Europa ci riuscirà, ma è essenziale alla creazione di un vero mercato unico in questo settore che ci sia una maggiore armonizzazione nella tutela dei consumatori e degli investitori». Delineare il perimetro del fintech non è facile: oltre alla digitalizzazione dei servizi finanziari, la rivoluzione in atto riguarda infatti colossi hi-tech che si aprono al canale bancario, big data utilizzati per profilare la clientale e criptovalute. Una commistione di generi spesso difficili da captare, anche a livello statistico. Gli ultimi dati sugli investimenti risalgono al 2016. Due anni che sembrano un secolo per una realtà in continua evoluzione. I dati fotografano però il ritardo europeo: sui 28,3 miliardi di investimenti a livello mondiale, la quota Ue rappresenta il 9% appena contro il 55% degli Usa. Un altro indizio è l’indice elaborato da Ernst and Young per il 2017 sul tasso di adozione medio a livello mondiale, pari al 33%, con un record del 69% in Cina.

«Per l’Europa - spiega Claudio Tebaldi, docente di teoria della finanza all’Università Bocconi - diventare un hub del fintech è una necessità per provare a recuperare il gap tecnologico nell’hi-tech e continuare a garantire servizi finanziari competitivi alle imprese e alle persone. Occorre agire in tempi rapidi e anche il nostro Paese non deve perdere questo treno». Secondo un’indagine conoscitiva della Banca d’Italia diffusa a fine dicembre finora gli investimenti programmati nel settore bancario ammontano ad appena 135 milioni.

I settori a più alto tasso di fintech sono i pagamenti, i prestiti e le assicurazioni. Proprio per queste ragioni in prima linea, oltre all’esecutivo Ue, ci sono tre Authority europee: l’Eba, l’Autorità bancaria, l’Eiopa (quella sulle assicurazioni) e l’Esma (Consob europea) che stanno effettuando una mappatura dei vari segmenti del fintech, delle licenze di autorizzazione, dei requisiti di sicurezza e della normativa. Prima di varare nuove regole, Bruxelles punta infatti sul monitoraggio e sul coordinamento. «Uno dei nodi più urgenti da sciogliere - afferma Tebaldi - è l’esigenza di conciliare la prudenza che tradizionalmente caratterizza la regolamentazione dei servizi finanziari con la necessità di non ostacolare l’innovazione, per trovare il giusto equilibrio e comprendere se la regolamentazione è un fattore competitivo o la limita. La questione è cruciale». Entro il secondo trimestre 2019 un gruppo di lavoro creato ad hoc si occuperà del tema. «Un’altra sfida - aggiunge Tebaldi - sarà il coordinamento tra le iniziative già intraprese a livello nazionale e la strategia europea».

Per creare un habitat favorevole allo sviluppo dell’innovazione finanziaria alcuni Paesi hanno creato le cosiddette “sandboxes”, spazi di sperimentazione normativa che consentono alle start up del settore di effettuare sperimentazioni su nuovi prodotti , con meno lacci e lacciuoli e sotto la vigilanza delle autorità di regolamentazione. «I pionieri europei su questo fronte - spiega De Groen - sono stati Gran Bretagna e Olanda». Sulla base della ricognizione effettuata dalle tre Authority europee, entro il primo trimestre 2019 la Ue presenterà un rapporto sulle buone pratiche per incoraggiare altri paesi a intraprendere questa strada.

Riuscirà Bruxelles a centrare l’obiettivo ? I tasselli sono sul tavolo ma la forma che assumerà il puzzle è ancora difficile da intravedere.

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